
Il nuovo libro di Renzia D’Incà
di Simona Maria Frigerio
A novembre 2024 è uscito per I Quaderni del Bardo un piccolo volume firmato da una critica ben nota in Toscana, Renzia D’Incà, con la quale abbiamo spesso dialogato al termine degli spettacoli, confrontandoci su contenuti e forma; ed è con piacere che faccio mie le prime parole della premessa, a firma Ottavio Rossani, ossia che con questo libro, Renzia “ha scritto una raccolta/specchio: una poesia dopo l’altra si vede e si sente passare un’esperienza complessa, inattesa e sofferente, ma anche sorprendente, drammatica, allegra, desiderata” e aggiungerei (se non fosse termine diventato di moda) resiliente.
E allora leggiamole, queste poesie, come ci invita lei stessa a fare, vedendola “Sdraiata / in autostrada in amaca / sul tavolo di cucina / sullo scrittoio / sul divano / sul ballatoio / sgrammaticata”, ma sgrammaticata come poteva esserlo Rodari, con quella penna che velocemente raccontava un mondo in una semplice filastrocca; che a me bambina raccontò mondi in una semplice filastrocca.
Più avanti leggiamo: “e tu non comprendi / che un certo tipo di vita / è arte solo arte”, e qui non pensiamo solo di ravvisare il grande amore di Renzia per il teatro bensì per la vita intesa come arte del fare, del cadere, del provare a rialzarsi, sapendo che si cadrà nuovamente; e che importa se il cammino è lungo e la fatica tanta: nell’atto di rialzarsi si è già vinta una piccola battaglia.
I giochi di parole e i rimandi si aggrovigliano in un puzzle che è anche un pacere districare, perché una dose di auto-ironia può salvare se non il mondo almeno noi stesse. La seconda sezione si intitola “La mia vista è un teatro” e chi conosce Renzia sa quanto lei fulmini, a volte, con quella sua padronanza linguistica mai smodata, mai proterva, mai esibita. Ma sottilmente sarcastica, questo sì. Penso a “Dentro parola morta / che gira / come oblò di lavatrice”, ma anche alla bellissima perché sintatticamente asciutta eppure talmente grondante di senso: “Chissà cosa avresti detto / commentato, tu / rifugiato / per avventure nazi-fasciste / a Cogne col ricordo / di bambino, delle bombe a Genova / delle sirene che annunciavano / catastrofi eri / già nel tunnel con la mamma”; o “non sente non parla / passa il treno dei / desideri infranti / di chi non ha realizzato / che sconfitte / vi saluto da lontano / dal vetro / non del bicchiere / pieno ma delle finestre / sul vostro nulla / brava gente”.
Vi è dolore tra le righe ma un dolore che Renzia guarda negli occhi per sublimarlo in un epigramma, che resti o che si slavi, non importa – lei lo cristallizza per un attimo e lo porge al lettore, che se lo rigira tra le mani, come questo piccolo volume e viene voglia di aprirlo e poi di chiuderlo perché le sollecitazioni sono tante, troppe, e allora lo riponi tra gli altri volumi, tra Neruda e Prévert, e poi non puoi non riaprirlo e tornare a sfogliarlo.
Ed è all’oiseau di Prévert che penso mentre leggo “Il tuo è un corpo nuvoloso / un corpo opaco opacizzato / il tuo corpo è un corpo lattiginoso”. E anche un po’ a Magritte. Come “Nel castello delle stanze / oniriche visioni / gioielli ritrovati” o in “Il senso della boscaglia oscura / sta nel fitto non senso delle foglie / che io foglia sono a te venature”. Un surrealismo che apre la mente, che non rifugge al senso ma trova parole altre per rendere la medesima visione, che poeticamente avviluppa come “la strega urbana / la fata” che “ascolta la parola innamorata”.
Un volume piccino piccino ma ricchissimo. Un volume che vi farà compagnia. Come un’amica, nel silenzio, una stella danzante.
Io non sono il mio sintomo
di Renzia D’Incà
Prefazione di Ottavio Rossani
I Quaderni del Bardo, novembre 2024
108 pagine
venerdì, 25 aprile 2025
In copertina: La copertina del libro (Ottavio Rossani, Rifrangenza, 2010, acrilico su tela, 50×40). Particolare per ragioni di layout