
Due date da non dimenticare: 25 aprile e 9 maggio 1945
di La Redazione di InTheNet
Ci sono alcune ricorrenze – per la verità poche – che hanno ancora un significato non perché la storia possa mai ripetersi uguale a se stessa ma per imparare dalla storia a non ripetere gli stessi errori (e orrori). E anche, più profondamente, per ricordare ideali, valori e lotte che, oggi, possono servirci da strumenti per interpretare – da un altro punto di vista – la realtà del presente.
Il 25 aprile 1945 (esattamente ottan’tanni fa), a Milano, dove si trovava il comando del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) – presieduto da Alfredo Pizzoni, Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani – si proclama l’insurrezione generale. Il nostro futuro Presidente della Repubblica, Sandro Pertini indice lo sciopero generale. Tutti i partigiani che sono sopravvissuti al terribile inverno del 1944/45 attaccano i presidi dei fascisti italiani e dei tedeschi, alcuni giorni prima dell’arrivo delle truppe anglo-americane.
Il CLNAI assume pieni poteri “delegato dal solo Governo legale italiano, in nome del popolo italiano e dei Volontari della Libertà”; e commina per decreto la condanna a morte per i gerarchi fascisti. Mussolini, che nel frattempo è fuggito, sarà catturato a Dongo; e poi fucilato, il 28 aprile 1945, insieme alla sua amante Claretta Petacci, a Giulino – una frazione del comune di Mezzegra, in provincia di Como.
Del resto, chi poteva dire di rappresentare il nostro Paese, dopo che il Re Vittorio Emanuele III di Savoia, alcuni membri della Casa Reale, il maresciallo Pietro Badoglio e altri ministri erano fuggiti da Roma, anche loro a gambe levate, all’alba del 9 settembre 1943 alla volta di Brindisi? Ovviamente, senza preoccuparsi di dare disposizioni precise per gli ufficiali e le truppe, lasciati nelle mani dei nazisti, e financo firmando, il 13 ottobre, l’entrata in guerra dell’Italia (priva ormai di esercito) contro la Germania – ex alleata.
Con i soldati che si daranno alla macchia o cercheranno, più semplicemente, di tornare a casa propria, la sera dell’8 settembre, a ridosso della comunicazione radiofonica dell’armistizio, nella capitale abbandonata si riuniscono alcuni anti-fascisti in clandestinità – tra i quali Bonomi, i comunisti Scoccimarro e Amendola, De Gasperi, La Malfa, il socialista Nenni e altri per costituire il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). E in pochi giorni, nonostante l’ostilità o la mancanza di fiducia del generale Harold Alexander (a capo delle forze anglo-statunitensi che occupavano le regioni meridionali del nostro Paese), i comunisti prendono l’iniziativa, ponendosi da subito a favore della guerriglia organizzata in piccoli gruppi (perché, se catturati, non potessero svelare nome e posizione di molti compagni), che dovevano agire localmente (ovvero utilizzare la conoscenza del territorio per colpire e fuggire, come faranno, decenni dopo, vietnamiti e afghani).
Già il 16 ottobre il CLN respinge gli appelli alla riconciliazione lanciati dalla Repubblica Sociale Italiana. L’Italia è divisa in tre parti: a sud comandano le forze che il 10 luglio 1943 erano sbarcate in Sicilia con l’Operazione Husky – la VIIa armata statunitense del generale Patton e l’VIIIa armata inglese del generale Montgomery, il cui comando congiunto era affidato al summenzionato generale britannico, Harold Alexander. Roma è dichiarata ‘città aperta’ (solo il 22 gennaio 1944, gli statunitensi sbarcheranno ad Anzio, a 62 chilometri dalla capitale). Più a nord e fino ai confini settentrionali del Paese spadroneggiano i tedeschi e i fascisti italiani della Repubblica di Salò. Sarà su quelle montagne e in quelle valli e paludi che si consumeranno innumerevoli stragi di civili a opera dei nazi-fascisti e i partigiani cercheranno di opporsi con la guerriglia e gli attentati contro i militari tedeschi e i loro omologhi italiani. Dai primi eccidi nel sud Italia nel ‘43, fino alla fine della guerra, si registreranno 5.607 episodi di violenza, per un numero complessivo di 23.669 persone uccise, di cui 2.877 civili o partigiani colpiti singolarmente, e gli altri in stragi che abbiamo dovuti seppellire nell’armadio della vergogna (1) per compiacere gli interessi di un mondo diviso in blocchi in cui la Germania tornava a essere nostra alleata – ma nella Nato. Nessuna giustizia degna di questo nome è stata ottenuta per le vittime e i familiari di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema o le Forze Ardeatine (solo per citare tre stragi fra le più note).
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La Giornata della Vittoria, in Russia, si celebra ogni 9 maggio, in memoria della capitolazione della Germania nazista. Il Terzo Reich firmò la resa incondizionata a Berlino, nella tarda serata dell’8 maggio 1945 (ma, a causa del fuso orario, era già il 9 maggio a Mosca). Il 2 maggio, però, è la data del famoso scatto fotografico che immortala il momento in cui i soldati dell’Armata Rossa issano la loro bandiera su quel che resta del Reichstag.
Da quasi quattro anni, ossia dal 1941, quasi da sola (visti i tentennamenti protrattisi negli anni di Churchill e Roosevelt), l’Unione Sovietica combatteva contro i nazisti e i suoi alleati nell’Europa orientale. L’invasione dell’Unione Sovietica, denominata Operazione Barbarossa, da parte della Germania e di altre potenze dell’Asse, era iniziata il 22 giugno 1941, impegnando circa tre milioni di uomini lungo un fronte di 2.900 chilometri. Tra gli obiettivi principali, la conquista di Leningrado – che, per Hitler, era il simbolo stesso del Comunismo – che avrebbe dovuto concludersi in sei/otto settimane, ma si trasformò in uno tra i più lunghi assedi della storia moderna, in quanto durò 2 anni e 5 mesi – dall’8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944 (data della liberazione definitiva da parte dell’Armata Rossa). Quell’assedio e quella battaglia costarono all’Urss la perdita di 1 milione 600mila/2 milioni di russi, tra militari e civili.
La controffensiva sovietica prenderà il nome di Oперация Багратион (Operazione Bagration, in onore del generale russo di origini georgiane che aveva combattuto contro Napoleone). È il 22 giugno 1944 quando inizia. Dopo aver riconquistato i territori occupati dalle truppe dell’Asse, l’Armata Rossa inizia ad avanzare nelle Repubbliche Baltiche, in Bielorussia, fino ad arrivare in Polonia.
I tedeschi, nel frattempo, si attendono un attacco dal Mar Nero. Per questa ragione lasciano il fronte settentrionale esposto all’avanzata di un milione e mezzo di militari sovietici, mentre i soldati nazisti non possono ritirarsi a causa degli ordini tassativi e suicidari di Hitler. La IVa e la IXa Armata tedesche vengono decimate.
Nella loro avanzata i sovietici scoprono l’orrore dell’Olocausto, liberando i prigionieri del campo di concentramento di Majdanek nel luglio 1944, Auschwitz il 27 gennaio 1945 e poi Gross-Rosen, Sachsenhausen, Ravensbrück, Stutthoff e Theresienstadt nei mesi successivi.
Dalle Repubbliche Baltiche, i sovietici entrano anche nella Prussia Orientale, invadono la Romania alleata della Germania e dopo la conquista dei campi petroliferi di Ploiești, non potendo più soddisfare la domanda di carburante dei tedeschi, il Re Michele I di Romania si arrende all’Armata Rossa. Segue la Bulgaria ma l’Ungheria cederà solo a febbraio 1945, con la caduta di Budapest.
L’ultima battaglia si svolge il 16 aprile 1945, con l’artiglieria sovietica stanziata sull’Oder e, sebbene in ritirata, i tedeschi cercano di resisterle fino alla completa disfatta che consente all’Armata Rossa di entrare a Berlino.
Alla fine, saranno tra i 22 e i 26 milioni i russi morti nella Seconda Guerra Mondiale, di cui 8 milioni i militari. I tedeschi perderanno 5.318.000 soldati, i giapponesi 1.930.000, gli italiani circa 319mila, gli inglesi 272.000, e poco più di 400mila saranno i militari statunitensi che periranno in azione (molti dei quali sul fronte giapponese). Cifre, queste ultime, irrisorie se confrontate non solamente con i dati dei sovietici, ma anche con la strage avvenuta in un solo giorno, il 10 marzo 1945, quando le forze aeree statunitensi sganciarono quasi 1.700 tonnellate di bombe incendiarie su Tokyo, uccidendo in meno di 24 ore fino a 100mila persone (quasi tutti civili) e ferendone un milione – con conseguenze, a livello di mortalità immediata, più devastanti dello sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
25 aprile 2025: oggi gli eredi dei partigiani italiani e dell’Armata Rossa dovrebbero essere insieme a festeggiare.
(1) Per chi non ricordasse cos’è l’armadio della vergogna: https://www.repubblica.it/politica/2016/02/16/news/stragi_nazifasciste_online_archivio_vergogna_-133585481
venerdì, 25 aprile 2025, Festa della Liberazione dal nazi-fascismo
In copertina: Foto tratta dal web