
Dal fracking ai PFAS: le minacce negli States e in Italia
di Luciano Uggè (traduzione di Simona Maria Frigerio)
Secondo Worldometers (dati del 30 aprile di quest’anno) oltre 276mila persone, in quattro mesi, sono morte a causa di malattie associate all’acqua, mentre restano senza accesso all’acqua potabile oltre 750mila individui.
Ma la questione non è il solito, sbandierato cambiamento climatico. Le falde idriche sono sempre più sotto pressione a causa dell’inquinamento. La green economy europea sa bene che il gas che importa (quando glielo consentono le autorità statunitensi) dagli Us proviene principalmente dal fracking, attività che inquina l’acqua potabile, come da parere conclusivo dell’EPA (Environmental Protection Agency) pubblicato in epoca non sospetta – ossia già nel 2016 (1).
Il rapporto “si concentra sulle attività del ciclo idrico della fratturazione idraulica e il loro potenziale impatto sulle risorse di acqua potabile”. EPA al riguardo avrebbe “prove scientifiche che le attività di fratturazione idraulica impattano veramente sulle risorse idriche in alcune circostanze. Il report identifica le condizioni che rendono tale impatto più frequente o grave”.
Ecco le situazioni a maggior rischio: quando “il prelievo delle acque per la fratturazione idraulica avviene in periodi o aree dove vi è scarsità di acqua, particolarmente in zone con risorse sotterranee limitate o che stanno diminuendo; vi sono perdite durante il trattamento dei fluidi della fratturazione idraulica e delle sostanze chimiche o dell’acqua prodotta che risulti con grandi volumi o alte concentrazioni di sostanze chimiche raggiunge le risorse idriche delle falde; si iniettano fluidi per la fatturazione idraulica nei pozzi con integrità meccanica inadeguata, che permettono a gas o liquidi di infiltrarsi nelle risorse delle falde idriche; si iniettono fluidi per la fatturazione idraulica direttamente nelle falde idriche; lo scarico di acque usate per la fratturazione idraulica, inadeguatamente trattate, finisce nelle acque superficiali; e lo smaltimento o immagazzinamento di acque di scarico usate per la fratturazione idraulica si infiltra in fosse permeabili, il che causa la contaminazione delle risorse idriche delle falde”.
Anche se mancano alcuni dati – il che limita la capacità di EPA di definire l’impatto di tali pratiche sulle riserve idriche a livello locale e nazionale, al presente o in futuro, il report vuole essere un monito per le autorità e le comunità sui pericoli del fracking.
Sempre sul fronte green europeo, non sono buoni nemmeno i risultati ottenuti da GreenPeace con la spedizione Acque senza Veleni (2), svoltasi tra settembre e ottobre 2024 per verificare la contaminazione da PFAS dell’acqua potabile in tutte le regioni d’Italia. Per chi non lo sapesse i PFAS conferiscono alle superfici idrofobicità e oleorepellenza e, per questo, sono utilizzati su diversi materiali – tra i quali tessuti, pellami, carta, eccetera. Essendo chimicamente e termicamente stabili, persistono nell’ambiente e possono accumularsi negli organismi. Secondo molti ricercatori i PFAS possono provocare gravi danni agli esseri umani – producendo dalle alterazioni del microbioma intestinali fino a una diminizione della funzionalità renale.
GreenPeace ha realizzato la prima mappa nazionale della contaminazione da PFAS nelle acque potabili italiane (2), raccogliendo 260 campioni in 235 comuni appartenenti a tutte le regioni e anche alle province autonome italiane e, in alcune grandi città, sono stati eseguiti due campionamenti.
I risultati potrebbero sorprendere molti, soprattutto coloro che sbandierano una presunta superiorità del Nord e delle sue metropoli – talmente attente alla salute dei propri cittadini e alla preservazione dell’ambiente da vietare persino il fumo di sigaretta alle fermate dei mezzi pubblici (sic!).
I PFAS sono stati rilevati nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati e, in 206 campioni su 260 analizzati, è stata trovata almeno una delle 58 sostanze PFAS monitorate. A livello regionale, le situazioni più critiche si registrano in Liguria (8/8), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31).
Mentre Arezzo, Milano e Perugia sono le città più inquinate da PFAS: “Considerando il parametro di legge Somma di PFAS, ovvero la somma di 24 molecole il cui valore, a partire dal gennaio 2026, non dovrà superare 100 nanogrammi per litro, le città con le concentrazioni più elevate sono risultate Arezzo, Milano (Via Padova) e Perugia, seguite da Arzignano (VI), Comacchio (FE), Olbia (SS), Reggio Emilia, Ferrara, Vicenza, Tortona (AL), Bussoleno (TO), Padova, Monza, San Bonifacio (VR), Ceccano (FR) e Rapallo (GE). La situazione più critica risulta essere quella di Milano, dove anche un secondo prelievo, effettuato in Via delle Forze Armate, ha fatto registrare concentrazioni elevate, ben più alte rispetto a Perugia, e pari a 58,6 nanogrammi per litro”.
Infine GreenPeace fa notare come in molte aree italiane si eroghi acqua potabile che in altre nazioni non sarebbe considerata sicura per la salute umana: “Il 41% dei campioni che abbiamo analizzato in Italia supera, ad esempio, i limiti vigenti in Danimarca sui PFAS nell’acqua, mentre il 22% supera le soglie introdotte negli Stati Uniti”.
Forse avremmo bisogno di meno demagogia e misure tese solo a incassare proventi da balzi e balzelli e più fatti. Ricerca e sviluppo di prodotti senza PFAS e stop alla guerra in Ucraina, con conseguente azzeramento degli ordinativi di gas da fracking dagli States, servirebbero più del greenwashing di facciata.
(1) Il Rapporto completo:
https://cfpub.epa.gov/ncea/hfstudy/recordisplay.cfm?deid=332990
(2) Il Rapporto completo:
https://www.greenpeace.org/italy/storia/26119/pfas-analisi-acqua-potabile-in-tutte-le-regioni-d-italia/
venerdì, 2 maggio 2025
In copertina: Foto di PublicDomainPictures da Pixabay