
Non suonava solo il sax…
di La Redazione di InTheNet
Ormai sulla cresta dell’onda Dem da oltre trent’anni il fautore dell’ipocrita Don’t ask don’t say (ovvero, se sei gay o lesbica nell’esercito non dirlo e non ti sarà chiesto) e la moglie, il falco di Obama, che faceva girotondi sulla spiaggia delle Bahamas per far dimenticare lo scandaletto Lewinsky, ovvero i Clinton, hanno molti scheletri nell’armadio.
Ekaterina Blinova su Sputnik ne racconta alcuni, ma anche altri colleghi hanno collezionato inchieste sulla coppia regina di Washington. Iniziamo, però, da quanto ha scritto Blinova che cita un analista di Wall Street, Charles Ortel, che avrebbe criticato l’FBI e il Dipartimento della giustizia US per non aver agito contro la coppia, nonostante ciò che i due hanno scritto nelle loro biografie sia in contrasto con la realtà dei fatti.
In pratica, Bill, in My Life (del 2004), avrebbe affermato: “appena lasciata la carica [presidenziale, il 20 gennaio 2001], ho aperto la sede della mia Fondazione a Harlem, New York City”. Ortel al riguardo obietta come la stessa, però, non sia stata registrata e che Bill Clinton avrebbe ricoperto un qualche incarico connesso con una sua fondazione non prima del 2009. Nel libro della moglie, Hillary Clinton (chissà perché queste wasp così attente al #MeToo usano ancora i cognomi dei mariti), intitolato Hard Choices (del 2014), la stessa descriverebbe “gli eventi a Johannesburg, da agosto 2009, quando ho iniziato a lottare contro l’AIDS assieme alla Clinton Health Access Initiative (CHAI)”. Ma Ortel la smentirebbe affermando che CHAI non sia esistita come entità organizzata legalmente fino a febbraio 2010. Anche in Something Lost, Something Gained (del 2024), Ortel ravvede delle incongruenze dato che le associazioni caritatevoli dei Clinton sarebbero descritte come agenti/rappresentanti che negoziano con produttori farmaceutici stranieri e Governi, il che sarebbe “incompatibile con una organizzazione a scopo benefico esente da tassazione” – secondo le leggi federali statunitensi.
Il quarto punto è che Bill, marito dell’allora Segretario di Stato, Hillary (sotto la presidenza Obama), non poteva, sempre secondo le leggi applicate negli US, ricoprire il ruolo di “agente/rappresentante di un Governo straniero”. E suscita perplessità anche che un Segretario di Stato riceva donor della Fondazione del marito… La domanda che sorge spontanea, quindi, è se non aver osservato le leggi statunitensi sulle organizzazioni e/o fondazioni benefiche non sia stato più che una – definiamola – svista, un modo per nascondere movimenti di denaro.
E chiudiamo questo primo capitolo con qualche cifra, visto che le varie fondazioni dei Clinton (aperte, chiuse e trasformate più volte nel corso degli anni) avrebbero incassato miliardi di dollari, sia da Stati (come Australia, Francia, Irlanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Corea del Sud, Svezia, UK, e persino Ucraina) e, quindi, dalla tassazione dei contribuenti di quei Paesi; ma anche da UNITAID, una Ong che si occupa di fornire medicinali e cure ai Paesi meno sviluppati soprattutto riguardo ad Hiv/Aids, malaria e tubercolosi; e dalla ormai famigerata USAID. Mentre non si comprende la liaison tra la Fondazione Clinton e quella della moglie di Volodymyr Zelensky, Olena.
Infine, a livello mediatico (perché ormai conta più la narrazione della realtà della realtà in sé), Ortel chiarisce che le Clinton Global Initiative, conferenze promosse dalle fondazioni dei Clinton hanno trovato un forte impulso grazie all’apporto (autorevole e credibile) delle prestigiose università di Harvard, Yale e della Columbia.
Al momento di certo vi è che in una audizione del 2018 è stato dichiarato che la Fondazione Clinton dovrebbe 2,5 miliardi di dollari al Governo statunitense per aver agito come rappresentante di un Governo straniero invece che come una non-profit.
Carità e Lolite
Un altro punto controverso nella vita dei Clinton è il legame tra Bill Clinton e Jeffrey Epstein (imprenditore statunitense condannato nel 2019 per abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni), testimoniato inequivocabilmente dalla presenza della sua partner e complice, Ghislaine Maxwell (condannata a 20 anni di carcere nel 2022), nella lista degli invitati al matrimonio della figlia, Chelsea Clinton. Della serie “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.
Clinton, stringeva la mano a Eltsin, e intanto allargava la Nato
È stato lo stesso Clinton su The Atlantic (tradotto in Italia dal Corriere della Sera) a rivendicare, già nel 2016, l’allargamento della Nato a Est, preoccupato dalla possibilità che la Russia «potesse non riabbracciare il comunismo, ma riabbracciare l’ultranazionalismo, sostituendo le aspirazioni imperiali alla democrazia e alla cooperazione». Preoccupato, quindi, che gli oligarchi e le multinazionali straniere che avevano acquistato le aziende statali russe con una manciata di rubli perdessero il loro potere in quello che era diventato il Bancomat energetico europeo; e alla plutocrazia dei neoliberisti (che Clinton definisce democrazia) si sostituisse una socialdemocrazia con un forte impegno alla ristatalizzazione delle aziende e delle risorse chiave (come aveva auspicato anni prima Enrico Mattei per il nostro Paese).
Il Clinton giustizialista
Un altro aspetto della presidenza del Dem par excellence è stata la promulgazione del Violent crime control and law enforcement act del 1994, il cosiddetto crime bill, che aggravava le detenzioni anche per reati minori (con l’introduzione della regola per cui chi si macchiava di tre reati era condannato a pene più dure). La conseguenza è stata che in 20 anni la popolazione carceraria degli Stati Uniti è più che raddoppiata, in particolare quella di origine afro-americana, con conseguente esplosione del business degli istituti privati.
I due maggiori gruppi, quotati anche in Borsa, sono la Corrections Corporation of America e il Geo Group – i quali, secondo inchieste giornalistiche statunitensi, ricevevano (nel 2016, quando scoppiarono i primi scandali con accuse di malversazioni e incarcerazioni di massa), in media, 70 dollari al giorno per ognuno dei 195mila detenuti ospitati nelle loro strutture. Corrections Corporation of America, di questi 70 dollari, ne avrebbe spesi solo 47, di cui 12 dedicati alla cura del detenuto, con un margine operativo del 33%.
Cca e Geo sono controllate da alcuni grandi investitori, quali Vanguard Group, Blackrock, Bank of America, Bank of New York Mellon, State Street, Lazard, e Wells Fargo. Ovviamente nessuna di queste società opera a fini benefici, tanto è vero che le prime due sono ormai note anche al grande pubblico per i loro investimenti tanto lucrosi quanto eticamente controversi. Non a caso gli operatori degli istituti penitenziari privati sono meno qualificati di quelli del settore pubblico e percepiscono i minimi salariali – sebbene molti tra loro lamentino uno stress post-traumatico peggiore di quello degli ex militari in Iraq o Afghanistan.
Con circa 2,2 milioni di detenuti, la percentuale di incarcerazione degli Stati Uniti è seconda nel mondo solo alle Seychelles: gli US, che rappresentano circa il 4,5% della popolazione del pianeta, vantano (sic!) oltre il 25% dei prigionieri globali, di cui circa un milione di origine afro-americana. Anche le detenzioni di migranti irregolari hanno conosciuto un autentico boom, con crescite a doppia cifra per le carceri private.
Chi ha destabilizzato la Libia?
Ovviamente è noto a tutti il ruolo giocato da britannici e francesi (questi ultimi piccati anche dai buoni rapporti tra il Paese governato da Gheddafi e il nostro). Ma come avrebbe dichiarato Obama, allora Presidente statunitense, fu il Segretario di Stato, “Hillary Clinton, a volere la guerra in Libia”. Ad affermarlo, nel 2016, fu Julian Assange in un’intervista trasmessa da Russia Today: “E lo si può vedere chiaramente nelle sue email”. Sempre secondo il fondatore di Wikileaks, la Clinton era interessata alla guerra in Libia non tanto per il petrolio “a buon mercato” ma perché avrebbe sfruttato il conflitto “nella sua corsa alla presidenza”. Le andò male, ma peggio ai libici.
Le vicende controverse nelle quali sono invischiati i Clinton sono molte altre, ma tanto basti per porsi dei dubbi, in Italia, su chi siede alla Casa Bianca: fa davvero differenza dirsi democratici o repubblicani? Oppure bisognerebbe giudicare un Presidente per ciò che effettivamente fa? E magari evitare di regalargli il Nobel per la Pace (1), prima ancora che abbia agito in tal senso; oppure plaudirlo per Accordi come quelli di Oslo tra Israele e Olp, che portarono all’accelerazione dell’espansione degli insediamenti israeliani di cinque volte rispetto alla crescita degli anni precedenti, e a far risorgere l’incubo palestinese della Grande Israele.
(1) Intendiamo Barack Obama
venerdì, 2 maggio 2025
In copertina: Bill Clinton, foto free of copyright da Pixabay