
L’intervento risolutivo dell’Urss in Manciuria
di Simona Maria Frigerio
Nel giorno in cui in Russia si festeggia il Giorno della Vittoria (sul nazismo), vogliamo ricordare anche l’apporto che l’Unione Sovietica diede alla sconfitta del Giappone, spesso oscurato dai crimini di guerra statunitensi – termine col quale è più che lecito etichettare le bombe incendiarie su Tokyo e le due bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki.
Premessa doverosa per ridare ai fatti la loro reale dimensione anche numerica: il famoso attacco di Pearl Harbor, che è ricordato come un evento di una tragicità inumana negli States, causò, tra i militari statunitensi, 2.403 decessi e il ferimento di 1.247 e, tra i civili, il decesso di 57 persone e il ferimento di 35. Durante i successivi anni di guerra, gli States non subirono mai bombardamenti né devastazioni sul proprio suolo e, in totale, persero (soprattutto contro i giapponesi) meno di 500mila soldati. La Russia, tra civili e militari, sacrificò tra i 22 e i 26 milioni di individui.
Dopo il 9 maggio 1945, l’Unione Sovietica avrebbe potuto godersi la pace, visto il Trattato che aveva firmato anni prima col Giappone, consapevole che non avrebbe potuto combattere sia sul fronte occidentale sia su quello orientale. Us e Uk avevano scelto come proprio alleato in Oriente, Chiang Kai-shek, il quale utilizzava finanziamenti e armi più per combattere contro i comunisti di Mao che contro i giapponesi.
Le trattative russo-nipponiche
Dopo la caduta di Berlino e della Germania, lo storico Vasilij Ėlinarchovič Molodjakov ricorda come, 13 luglio 1945, l’ambasciatore giapponese a Mosca, Naotake Sato, consegnava un messaggio dell’imperatore del Giappone al vice ministro degli Esteri sovietico, Solomon Lozovsky: “Sua Maestà l’Imperatore, consapevole del fatto che la guerra attuale porta ogni giorno altro male e altri sacrifici ai popoli di tutte le potenze belligeranti, desidera di suo cuore che si possa rapidamente risolverla. Ma fintanto che l’Inghilterra e gli Stati Uniti insistono sulla resa incondizionata nella Grande Guerra dell’Asia Orientale, l’impero giapponese non ha alternative se non combattere con tutte le sue forze per l’onore e l’esistenza della patria. Sua Maestà è profondamente restia a qualsiasi ulteriore spargimento di sangue tra i popoli di entrambi i lati, per questo motivo, ed è suo desiderio, per il benessere dell’umanità, vorrebbe ristabilire la pace alla massima velocità possibile”.
E difatti il 15 luglio 1945 l’Imperatore Hirohito dava seguito a questo proposito annunciando alla nazione l’intenzione di accettare la resa: “Il nemico ha cominciato a usare un nuovo tipo di bomba, inumano. I danni che essa è in grado di arrecare sono incalcolabili, ed esigono un tributo elevato di vite umane innocenti. Proseguire la guerra a queste condizioni non porterebbe soltanto all’annichilimento della nazione, ma alla distruzione dell’intera civilità umana. È per questo che, secondo i dettami dell’epoca e del destino, ci siamo decisi a lastricare la strada dalla grande pace per tutte le generazioni future, sopportando l’insopportabile e tollerando l’intollerabile. In particolare dovete stare attenti a evitare ogni scatto emotivo che potrebbe generare complicazioni inutili, così come vi asterrete da conflitti e alterchi che potrebbero creare confusione, risultando gravemente fuorvianti” (1).
Forse Hirohito temeva ciò che sarebbe avvenuto più tardi, ma di certo quanto accaduto nella notte tra il 9 e il 10 marzo era già stata una tragedia immane: Tokyo era stata colpita da 330mila bombe a grappolo al napalm sganciate da almeno 300 B-29 Superfortress, che avevano totalmente distrutto le tradizionali case in legno e carta dell’allora area urbana più densamente popolata al mondo. I deceduti furono oltre 100mila, per lo più civili – compresi donne e bambini. Un tale attacco fu possibile in quanto già a marzo del 1945 gli Stati Uniti avevano conquistato una serie di ex roccaforti giapponesi nel Pacifico – da cui decollarono i B-29.
Quasi in risposta al messaggio del 13 luglio a Mosca, il 26 luglio, Us, Uk e Chiang Kai-shek rispondono a Hirohito con la Dichiarazione di Potsdam che imponeva la resa incondizionata del Giappone. Non vi si faceva alcuna menzione sul futuro dell’Imperatore né sul sistema di governo che sarebbe stato imposto dai vincitori e la formulazione era tale – sostengono diversi storici – da non poter essere accettata. Questo perché Truman intendeva testare le proprie armi nucleari e mettere l’Unione Sovietica di fronte al fatto compiuto. Come abbiamo scritto, l’Urss da tempo stava negoziando una resa dignitosa per il Giappone. Prova ne è il fatto che, il 28 maggio 1945, Stalin avesse comunicato all’inviato speciale della Casa Bianca, Harry Hopkins, che preferiva un accordo di pace con il Giappone, a condizione che il suo potenziale militare fosse stato completamente distrutto e il Paese fosse stato occupato, ma sotto condizioni meno gravi rispetto alla Germania. La Russia, del resto, non sarebbe stata pronta a entrare in guerra contro i nipponici prima dell’8 agosto 1945. A Potsdam, in effetti, fu presentata anche la bozza di una dichiarazione voluta fortemente dall’Urss ma, dato che il testo era più morbido rispetto a quello progettato dagli Stati Uniti, la stessa non fu presa in considerazione dagli altri tre alleati e Stalin (con o suoi negoziati) fu letteralmente messo da parte.
Ad agosto la situazione giapponese era quella di un Paese allo stremo. A parte la mancanza di cibo, quasi il 60% delle aree urbane era stato bruciato, 10 milioni di persone erano state evacuate e le bombe al napalm avevano distrutto 41 chilometri quadrati di Tokyo causando 1 milione di sfollati nella sola capitale. Non regge, quindi, la lettura dei vincitori, ovvero che siccome il Giappone avrebbe potuto continuare la guerra ancora per molti mesi causando troppe vittime (a chi, se non a se stesso e, soprattutto come accadrà, alla propria popolazione civile?), gli Us avrebbero utilizzato la bomba atomica – ideata con il progetto Manhattan – per salvare la vita di milioni (sempre che non si fraintenda con qualche migliaio di soldati statunitensi).
Crimini contro l’umanità
Guido da Landriano, grazie ai dati di AtomicHeritage, scrive che, tra gli 0,2 e gli 0,3 secondi dopo l’esplosione della prima bomba atomica su Hiroshima, il 6 agosto 1945 alle ore 9,30, si sprigionava “un’intensa energia a infrarossi che bruciava istantaneamente la pelle esposta per chilometri in ogni direzione. Le tegole di un edificio si fusero. Una statua di bronzo del Buddha si fuse e persino le pietre di granito. Le tegole si fusero, i pali telefonici in legno si carbonizzarono e diventarono simili a matite bruciate. Gli organi interni di uomini e animali evaporarono. L’onda d’urto si propagò verso l’esterno a due miglia al secondo o a 7.200 miglia all’ora”. Quando “l’onda d’urto rallentò fino a raggiungere circa la velocità del suono (circa 1193 km/h), la temperatura a livello del suolo direttamente sotto l’esplosione (ipocentro) era di 3700°C”. Ma è la conformazione stessa di Hiroshima a peggiorare la situazione in quanto quando l’onda d’urto colpì le montagne che la circondano “rimbalzò indietro. Circa 60.000 dei 90.000 edifici della città furono demoliti dall’intensa tempesta di vento e fuoco”.
A cosa vi servirà, anime belle, il vostro zainetto per 72 ore di sopravvivenza, pensato dalle menti dell’Unione Europea? Cosa ve ne farete in quei 0,2 secondi?
A Hiroshima e Nagasaki (che fu colpita il 9 agosto) si stima che i morti, quasi tutti civili, furono 250mila (tra quelli immediati e quelli che perirono per le conseguenze delle radiazioni). Sicuramente Truman avrà salvato qualche migliaio di figli dello Zio Sam in armi, ma ha ordinato una autentica strage degli innocenti.
Qualcosa non torna con le date
Perché la resa del Giappone fu firmata solo il 2 settembre 1945, a bordo della nave statunitense USS Missouri?
Un fatto sottostimato e intercorso in questo torno di tempo fu l’invasione sovietica della Manciuria, che ebbe inizio a partire dall’8 agosto 1945, come da promessa fatta da Stalin agli Alleati. Questo nuovo fronte di guerra, unito al fatto che il Giappone aveva nell’Urss l’unico referente per la mediazione di una resa più onorevole, che salvaguardasse almeno l’Imperatore, fu un colpo inaspettato.
Lo storico statunitense di origine giapponese, Tsuyoshi Hasegawa, ha pubblicato un importante studio, nel 2005, intitolato Racing the Enemy: Stalin, Truman, and the Surrender of Japan, in cui scrive: “L’entrata in guerra dei sovietici ha sconvolto i giapponesi più ancora delle bombe atomiche, perché significava la fine di ogni speranza di giungere ad una soluzione a breve della resa incondizionata… Infatti l’entrata in guerra dei sovietici ha svolto un ruolo maggiore delle bombe atomiche nell’indurre alla resa il Giappone”.
Di certo, i sovietici entrando in Manciuria ancora una volta tentarono una sfida sul campo tra eserciti. Lo Zio Sam fece ciò che lo contraddistinguerà nei decenni successivi (da solo, con i cosiddetti volonterosi o supportato dalla Nato), sterminando impunemente i civili e radendo al suolo città e Paesi – da Tokyo al Vietnam fino a Belgrado e oltre.
venerdì, 9 maggio 2025 (Giorno della Vittoria)
In copertina: La Piazza Rossa a Mosca. Acquarello di Victoria da Pixabay