
Conferenza stampa di Valentina D’Orso per spiegare il nuovo Disegno di Legge
di La Redazione di InTheNet
Negli ultimi anni, soprattutto grazie ai riflettori accesi sul caso di Carlo Gilardi, ricoverato contro la propria volontà presso una Rsa di Lecco, si è preso a discutere sulla figura dell’Amministratore di Sostegno. In questi giorni è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di riforma della Legge n° 6 del 9 gennaio 2004 che istituiva tale figura – e non si può che plaudire a tale iniziativa. E però ci chiediamo: che senso ha mettere nelle mani di una terza persona la vita di un’altra, se questa è capace di intendere e volere? E se non lo è, esistono già altre normative, ovvero l’interdizione (misura di protezione per le persone che non sono in grado di provvedere ai propri interessi, disposta dal tribunale in composizione collegiale) e l’inabilitazione (misura di protezione giuridica che limita la capacità di agire di un maggiorenne, disposta dal tribunale quando la persona non è totalmente incapace di provvedere ai propri interessi).
La premessa dalla quale partiamo noi, come Redazione, è: se una persona è ‘temporaneamente menomata’ e, quindi, è affidata a un AdS, di fronte a chi ci troviamo? A un anziano che può trovarsi in difficoltà a gestire la propria abitazione da solo? Oppure, a un giovane che abusa di sostanze stupefacenti, o soffre di un disagio psico-sociale, e non sa a chi rivolgersi per migliorare il proprio stato di salute mentale? O ancora, a una persona che ha avuto un incidente e per un periodo soffre di una menomazione che gli rende impossibile vestirsi, camminare o lavorare e ha bisogno di un supporto medico e di un fisioterapista per riprendersi completamente o accettare di convivere, magari, con una sedia a rotelle? Per tutti questi e migliaia di altri casi perché dovrebbe servire un Amministratore di Sostegno? Non sarebbe meglio esistessero sul territorio Consultori con assistenti sociali, psichiatri e psicologi clinici, fisioterapisti, badanti, gruppi di auto-aiuto con figure che si sono professionalizzate (come esistono in altri Paesi europei), eccetera, che creino una rete alla quale rivolgersi per farsi aiutare senza derogare alle proprie libertà?
Il dubbio che sorge, a questa Redazione, ogniqualvolta entri in contatto con il sistema AdS/Giudice tutelare/Casa di cura è che lo stesso sia un circolo chiuso. L’anziano e/o il disabile (psico-sociale o fisico) per essere assistito deve cedere i propri beni a un terzo (sempre più spesso un professionista che, seguendo anche quaranta/cinquanta casi contemporaneamente, percepisce un recupero spese di almeno 40/50mila euro l’anno esentasse), il quale lo farà ricoverare in una struttura privata (o convenzionata, ma con una quota a carico dell’assistito). Un circolo che si autoalimenta e alimenta un mercato ormai sempre più redditizio a misura che la popolazione invecchia, la cosiddetta silver economy – già nel 2021, in Italia si contavano 7.493 Case di cura, delle quali l’83% nelle mani di società private. E a mano mano che il pubblica deroga servizi e diritti ai privati, immaginiamo che tale mercato – che può allargarsi alle Case famiglia e all’assistenza domiciliare – ricomprenderà tipologie sempre nuove di ‘temporaneamente menomati’. Forse il vero problema sta qui: solamente un’assunzione di responsabilità (anche onerosa) da parte dello Stato dei bisogni delle persone (quello che una volta si chiamava stato sociale e, oggi, welfare state) può spezzare un circolo che, secondo noi, diventerà altrimenti sempre più auto-referenziale, nonostante le buone intenzioni del legislatore.
Gli interventi alla Camera dei Deputati
L’Avvocato Mattia Alfano, presente alla conferenza stampa, ha ricordato come chi è beneficiario (termine giuridico per definire la persona assistita) di un’amministrazione di sostegno, purtroppo, non può più “beneficiare delle libertà fondamentali – che si esplicano non solamente nella cura dei propri interessi economici ma anche nella possibilità di coltivare amicizie e affetti”. Alfano rammenta di essere stato contattato dai cugini del professor Gilardi, i quali attraverso le inchieste giornalistiche erano venuti a sapere che quell’uomo – scomparso senza spiegazioni – era “stato costretto contro la propria volontà in una Casa di cura”. L’avvocato ha aggiunto che lui, come i parenti, si sono scontrati contro un muro di gomma non potendo nemmeno chiamare o fare visita a Gilardi, dato che l’Amministratore di Sostegno sosteneva con loro che fosse lo stesso beneficiario a negarsi a tale opportunità di incontro. Purtroppo il Giudice tutelare, affidandosi totalmente all’AdS, non ha mai permesso tali contatti e, di conseguenza, Alfano si è dovuto rivolgere alla Corte Europea per i Diritti Umani, che ha dato una serie di indicazioni che dovrebbero essere, oggi, riprese nel Disegno di Legge di riforma dell’istituto giuridico dell’AdS – introdotto con la L. n° 6 del 9 gennaio 2004.
Tra le mancanze dell’attuale normativa, in Italia, secondo Alfano, quella che “l’amministrato possa avere un proprio difensore” – in quanto dovrebbe essere nominato dall’AdS, il quale si troverebbe a dover assumere un professionista che, come nel caso Gilardi, potrebbe agire contro lo stesso AdS. In secondo luogo, sempre secondo l’Avvocato, l’amministrazione di sostegno dovrebbe essere una funzione affidata ai parenti del beneficiario o ai suoi affetti, che la svolgano sostanzialmente in maniera gratuita. Al contrario, nel caso Gilardi ma anche in tanti altri – come ha potuto verificare l’Avvocato – si tende a “privilegiare professionisti che fanno parte di un circuito vicino agli uffici del tribunale. E questo è un problema perché il professionista non deve vivere dell’amministrazione di sostegno, dato che è un servizio verso la collettività”. Infine, tale figura dovrebbe essere pensata come “temporanea” quando, al contrario, è invalso l’uso di affidare un beneficiario a un AdS per il resto della sua vita (come dimostra anche il caso di Marta Garofalo Spagnolo, di cui abbiamo già trattato, 1) e, quindi, il Giudice tutelare dovrebbe verificare “nel tempo, caso per caso”, se continuino a sussistere i presupposti o meno per tale affidamento.
Veniamo alle altre riforme che dovrebbero essere introdotte in merito all’amministrazione di sostegno, spiegate dalla Deputata Valentina D’Orso. Abbiamo già scritto della possibilità di nomina da parte del beneficiario di un proprio legale e, nel caso, di un avvocato d’ufficio (senza il consenso dell’AdS). Per evitare che si confonda il beneficiario di tale istituto giuridico, che è tuttora capace di agire e, quindi, non rientra nei casi previsti dalla Legge di inabilitazione e interdizione, l’AdS “deve accompagnare la volontà del beneficiario e non può sostituirsi” alla stessa. Eppure, ammette la Deputata, esiste una norma nella 6/2004 che prevede questa possibilità e che dovrebbe essere eliminata dalla riforma, ovvero la cosiddetta amministrazione sostitutiva grazie alla quale “l’AdS può rappresentare il beneficiario” – e così facendo agisce in sua vece.
D’Orso ha proseguito spiegando che, fino alla prima udienza, dovrà essere il beneficiario ad avere facoltà di nominare il proprio AdS, ampliando la platea dei soggetti che possono essere nominati sì da includere “i legami affettivi e amicali” (pensiamo a quante e quanti conviventi si sono visti togliere la possibilità anche solamente di visitare la persona alla quale erano legati da figli o estranei che, per volontà ma anche contro la volontà del beneficiario, hanno assunto il ruolo di AdS). Si “renderebbe, quindi, residuale la nomina di un Amministratore di Sostegno professionale, ovvero estraneo alla cerchia di parenti e legami del beneficiario”.
Questo però, come aveva fatto notare l’avvocato Alfano, si scontra col fatto che molti professionisti (avvocati e commercialisti, in primis) oggi hanno guadagni garantiti grazie a tale incarico, che prevede un recupero spese. Ma anche, come leggiamo in rete, un “equo indennizzo stabilito dal giudice tutelare in relazione al tipo di attività prestata” – che non è certamente quantificabile in qualche centinaio di euro visto che, in caso di patrimoni ingenti o di una sequela di pratiche, gli AdS si occupano di locazioni da stipulare o sfratti da fare eseguire, affitti da riscuotere, rette da pagare, versamento di contributi o tasse, denuncia dei redditi, apertura di conti correnti, presa in carico a livello medico-sanitario, scelta della struttura ospitante, eccetera.
Per ovviare alla prassi in atto, il nuovo Disegno di Legge proposto da D’Orso dovrebbe, in primo luogo, prevedere che l’amministrazione di sostegno sia a tempo determinato – dato che ci si trova di fronte a un beneficiario che ha “una menomazione parziale o temporanea”, che andrà monitorata annualmente da parte del Giudice. In secondo luogo, l’AdS dovrà riferire ma anche rendicontare ogni sei mesi al Giudice – soprattutto in presenza di patrimoni ingenti. Terzo, nel caso (che si auspica sempre meno frequente) di un AdS nominato tra i professionisti, se questo incarico non può diventare l’unica fonte di sostegno, d’altro canto per essere fatto bene, dovrà essere “adeguatamente remunerato, con un compenso che sia proporzionato all’impegno e al tempo che si investe per seguire i vari casi” (il che, d’altro canto, è già quanto previsto dalla giurisprudenza, come abbiamo scritto più sopra). Il correttivo contenuto, però, nell’attuale riforma sarebbe di limitare a cinque gli incarichi che si possono assumere come AdS.
Ma, a questo punto, fermiamoci e chiediamoci: chi pagherà, in futuro, tale ‘compenso proporzionato all’impegno e al tempo investito’? Il beneficiario? Nel qual caso, viste anche le rette delle Case di cura e l’esiguità dell’assegno di accompagnamento, chi potrebbe ‘giovarsi’ di una tale figura? Oppure la collettività? Con le nostre tasse dovremo farci carico, invece che delle strutture di qualità e a costi modici per supportare anziani, invalidi e convalescenti (che abbiano, magari, bisogno di fisioterapia o di assistenza per un dato periodo) delle parcelle di figure professionali, che si occuperanno di inserire i summenzionati anziani, invalidi e convalescenti in Case di cura private (convenzionate o meno) e costose? Il passaggio ci lascia alquanto perplessi.
In compenso, dovrebbe finalmente aversi un Registro degli AdS professionali, con corsi di formazione obbligatoria e di aggiornamento (come prevedono già i vari ordini professionali).
Un punto importante è che finalmente il beneficiario che non abbia avviato in proprio il procedimento, dovrà essere avvisato di tale iter e di quando si terrà la prima udienza, così da potersi preparare anche nominando un legale di propria fiducia. Inoltre, l’applicazione della misura – quando è richiesta da terzi – dovrebbe essere decisa in sede collegiale da tre giudici (sicuramente garanzia di maggiore equità ma, visti i tempi della giustizia civile in Italia e la cronica mancanza di magistrati, ci pare norma di difficile applicazione). Il beneficiario, inoltre, dovrà sempre “essere ascoltato, prima che si attui la misura e anche nella sua abitazione, quando non possa muoversi”.
Infine, in caso di dissenso tra le scelte dell’AdS e del beneficiario, l’amministrato potrà chiedere “una modifica della decisione presa dall’Amministratore di Sostegno e addirittura la sua sostituzione” o “la revoca in caso i presupposti siano venuti meno”. Per farlo, come già affermato dall’avvocato Alfano, il beneficiario potrà (ma aggiungiamo: dovrà) ricorrere a un proprio difensore di fiducia o, comunque, d’ufficio.
Oltre la Proposta di Legge
In conferenza stampa – a nome dell’Associazione Diritti alla Follia (2), che avrebbe una propria proposta molto più radicale (3) – il dottor Michelazzi, psichiatra e cofondatore dell’associazione, ha ricordato che proprio nella sua città, Trieste: “è stata pensata, è nata ed è stata sperimentata la figura dell’AdS, all’interno di un dispositivo noto come psichiatria basagliana”. Il dottore ha aggiunto che “all’apertura dei manicomi, c’è stato un progressivo avvicinamento a una concezione di salute mentale di comunità, quindi di superamento della logica psichiatrica classicamente intesa” (quella rete psico-sociale di consultori multifunzionali alla quale abbiamo accennato in precedenza?, ci chiediamo). In quel periodo, ricorda Michelazzi, si abbatterono i paletti che separavano infermità mentale e normalità. La maggioranza deviante – l’avrebbe definita Basaglia – visto che “nel tempo si sono allargati gli ambiti, andando a ricomprendere anche problematiche di personalità, alimentari, del consumo di sostanze” stupefacenti, fino alla “fragilità dell’anziano”. Ecco perché si pensava, con l’AdS, di poter “cucire addosso alla persona un vestito idoneo a permettergli di vivere al di fuori del manicomio, mantenendo il massimo possibile dei diritti”. Purtroppo è lo stesso Michelazzi ad ammettere che la Legge, così come concepita, ha trasformato le amministrazioni di sostegno in interdizioni mascherate. In pratica, un gran numero di persone “con una fragilità, una menomazione – concetto di per sé relativo più dell’infermità per certi versi – psichica o fisica, anche temporanea” sono state ricoverate (a volte in maniera coatta) in Case famiglia o altre strutture, a seconda della tipologia di ‘menomazione’. Ciò che ne è derivato è che i Giudici tutelari sono arrivati a “limitare la libertà della persona di frequentare i propri affetti, di gestire le proprie economie, addirittura di poter leggere la posta o di dare un consenso informato” quando si tratti di cure mediche o anche di ricoveri e interventi. In pratica, “si mette in atto una limitazione delle libertà e dei diritti inenarrabile” e i politici appartenenti a qualsiasi corrente, ricorda Michelazzi, dovrebbero farsene tutti carico perché ognuno di noi, a una certa età, potrebbe “presentare una fragilità ed essere soggetto all’amministrazione di sostegno”. Infine, Michelazzi, andando oltre la presente proposta di modifica della Legge esistente, e rifacendosi alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009, sottolinea che non è lecita una “sostituzione nella capacità giuridica”. Questo perché il Caso Gilardi è solo la punta dell’iceberg di un sistema che rinchiude in Rsa o Case famiglia migliaia di persone, anche contro la loro volontà.
Presente in conferenza stampa anche la giornalista Nina Palmieri – che si è occupata del caso del professor Carlo Gilardi e che ha tentato di aiutarlo in “una battaglia di libertà”. Palmieri ricorda di essersene occupata sentendo un audio in cui Gilardi urlava che non voleva andare in Casa di riposo. Purtroppo, nonostante quell’urlo non poté, essendo novantenne, opporsi fisicamente alle Forze dell’ordine che erano intervenute per il suo ricovero in base a un “Accertamento Sanitario Obbligatorio”. Tutto ciò per “tutelarlo, per tutelare il suo patrimonio da alcune persone con le quali era stato particolarmente generoso”, quando – come ricorda la giornalista – Gilardi era sempre stato generoso, e questa non era una prerogativa degli ultimi anni (aggiungeremmo: e, quindi, motivata da senilità o incapacità di intendere e volere). Palmieri ha ricordato che, nonostante la perizia a cui si era volontariamente sottoposto Gilardi e che lo definiva persona lucida, nonostante il suo rivolgersi a un legale per sospendere l’amministrazione di sostegno, nonostante tutte le sue battaglie per non essere ricoverato in una Casa di cura e restare a casa propria, è potuto uscire dalla Rsa solo per finire i suoi giorni in un hospice.
Per vedere l’intera Conferenza stampa:
https://webtv.camera.it/evento/27913?fbclid=IwY2xjawJqFm5leHRuA2FlbQIxMQABHgg_dC_wiXCgeA2JOS06Kz5_8_i9KDvpKckIM4-rAnl0FZ0zq4bQ8FsYEK9b_aem_C5iDBMPCJHZYtjw3Qktvdw
(1) https://www.inthenet.eu/2025/04/11/si-chiude-la-vicenda-giudiziaria-sul-caso-di-marta-garofalo-spagnolo/
(2) https://dirittiallafollia.it/tag/carlo-gilardi/
(3) https://dirittiallafollia.it/proposte/
venerdì, 16 maggio 2025
In copertina: Foto di Fredy Martinez Enamorado da Pixabay (particolare per ragioni di layout)