
Petrolio, marine e droni
di La Redazione di InTheNet (traduzioni di Simona Maria Frigerio)
Mentre la Ue si affanna a censurare i canali stampa che offrono visioni alternative dei fatti, noi crediamo opportuno che in una democrazia, al contrario, ci debba essere la più vasta libertà di informazione così che il lettore/elettore possa formarsi una propria opinione che avrà poi ricadute politiche. E siccome non tutti possono essere poliglotti, vi tradurremo in breve tre articoli apparsi recentemente su altrettante testate.
Sputnik Mundo punta sul numero crescente di imprese straniere che investono in Russia ma anche su una denuncia gravissima: ossia che alcune “imprese statunitensi trafficano petrolio rubato al Messico”, ovvero al Petróleos Mexicanos (Pemex), “in associazione con i cartelli del narcotraffico. I medesimo cartelli che il presidente statunitense, Donald Trump, ha promesso di combattere”.
La Federazione russa, secondo i dati ufficiali riportati dalla stampa nel 2024, registrerebbe un aumento del 18% delle richieste straniere di iscrizione al Registro delle imprese, rispetto ai numeri antecedenti alle sanzioni (e, quindi, al 2022), smentendo le previsioni europee di strangolare la sua economia, marginalizzare il Paese e farlo implodere. Al contrario, la Russia ha raggiunto a livello di Pil a parità di potere d’acquisto “la quarta posizione al mondo, sopra Germania e Giappone” – non solo grazie alle materie prime, ma anche al potenziale tecnologico e industriale ex sovietico controllato dallo Stato in alcuni settori chiave e al nuovo impulso dato dal Presidente Putin alla ricerca e allo sviluppo all’interno della Federazione. In breve, le sanzioni hanno ‘costretto’ i russi a tornare a produrre per sé e per l’esportazione, dimostrando non solamente resilienza ma anche capacità di convertire velocemente la propria economia.
Nel mentre, dopo aver criticato la presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, per non aver permesso all’esercito statunitense di entrare nel Paese – ufficialmente – per combattere il narcotraffico, sembrerebbe che a essere ‘costretto’ a fare affari con i cartelli sia proprio lo Zio Sam. La Rete di Controllo dei Crimini Finanziari (Fincen) del Dipartimento del Tesoro Us, infatti, ha emesso un alert riguardo a forme di contrabbando di petrolio greggio alla frontiera sudorientale statunitense, associate al Cartello Jalisco Nueva Generación e ad altre organizzazioni criminali internazionali, quali i Cartelli di Sinaloa e del Golfo. Il traffico illecito si realizzerebbe semplicemente mettendo l’etichetta di oli usati sui camion-cisterna che trasportano “il combustibile: il greggio è poi venduto attraverso gli intermediari statunitensi a prezzi ridotti a Compagnie locali e internazionali, ivi incluse giapponesi, indiane e di alcuni Paesi africani”.
Facendo un po’ (ma non troppa) fantapolitica, ci sarebbe da chiedersi – quando questo alert si confermasse con prove e accuse materiali – se l’esercito statunitense non servirebbe più a proteggere e garantire simili traffici che non a combatterne altri.
The Grey Zone e la sconfitta ucraina di Krynky
Secondo l’online, fondato e diretto dal giornalista statunitense Max Blumenthal, ci sarebbero i servizi segreti britannici dietro al “fallito tentativo degli ucraini di catturare il villaggio di Krynky”. Il piano, secondo documenti analizzati da The Gray Zone, “messo assieme da Project Alchemy, una cellula segreta dell’intelligence militare, ideata dal Ministero della Difesa britannico che voleva ‘a tutti i costi’ far sì che l’Ucraina continuasse a combattere” è stato un bagno di sangue “che resta tra i maggiori disastri della guerra” – sebbene praticamente ignorato dalla stampa mainstream. Chissà come mai?
Per chi non sapesse o non ricordasse di cosa stiamo scrivendo, il 30 ottobre 2023, “dozzine di commando ucraini su piccole imbarcazioni hanno attraversato il fiume Dnipro per prendere il controllo di Krynky”, un villaggio dell’oblast di Kherson. Secondo i britannici, che avevano anche addestrato gli uomini dei commando, da quelle rive gli ucraini avrebbero proseguito per chilometri, indisturbati, riconquistando addirittura la Crimea.
Secondo The Gray Zone quella che doveva essere una marcia trionfale (che paragonano a un nuovo D-Day) si è presto trasformata in un gregge di ‘agnelli’ (ovvero i marine ucraini) mandati al macello. Questo perché le imbarcazioni “sovraccariche non avevano copertura aerea, mentre subivano il fuoco senza sosta dell’artiglieria russa”, oltre agli attacchi con droni, lanciafiamme e mortai. Inoltre, gli ucraini (e non si sa perché, se erano stati addestrati dai britannici e, in fondo, lavoravano per loro in una guerra per procura) sarebbero stato “mal equipaggiati” e sia l’invio di rinforzi sia l’evacuazione non poterono nemmeno essere “presi in considerazione”. Potremmo ironizzare, con tutto il rispetto per i morti, che furono mandati in Russia con le ‘scarpe di cartone’, né più né meno degli italiani nella Seconda guerra mondiale.
Nonostante quanto stava accadendo gli ucraini si sarebbero ostinati per nove mesi nel tentativo di conquista in successive ondate di un migliaio di marine a tornata, tutti addestrati dai britannici per “andare incontro a morte quasi certa”.
Durante la preparazione del piano, The Gray Zone afferma che, secondo la documentazione di cui è venuta in possesso, era stato richiesto formalmente al Ministero della Difesa britannico che fornisse “le immagini e le piantine più aggiornate” del complesso sotterraneo presente in Crimea. L’online definisce come ‘ossessione’ dei britannici quella di conquistare Sebastopoli, perseguita fin dalla guerra di Crimea del 1853/56, e dalla documentazione risulterebbe che “la presa della città era considerata vitale e fattibile dal punto di vista di Londra”. Vorremmo aggiungere che tra Krynky e Sebastopoli ci sono ben 362 km di distanza: una passeggiata a quanto pare per i britannici che un migliaio di uomini alla volta avrebbero dovuto intraprendere senza incontrare resistenza.
Non si comprende però come il Progetto Alchemy, pur descrivendo il porto militare di Sebastopoli come ospite di una enorme “concentrazione di missili antinave” e un insieme di bunker sotterranei “immuni a qualsiasi incursione aerea o lancio di missili”, potesse comunque essere “vulnerabile ai commando”. La risposta, per la nostra Redazione, sta nella continua ambivalenza di giudizio rispetto alla Federazione Russa – da parte occidentale – e alla sua tenuta, resilienza e capacità di migliorare sia a livello di comando e uomini sia di tecnologia un apparato militare che, in ultima istanza, è comunque sempre quello di una potenza nucleare.
Due mesi dopo l’inizio dell’operazione, veniva descritta alla BBC la reale situazione nella quale si trovavano i cosiddetti marine ucraini, ovvero sotto “costante fuoco” nemico mentre attraversavano il fiume, con le imbarcazioni che affondavano cariche di militari, senza possibilità di recuperarne nemmeno i corpi. Mentre i russi che, non si sa per quale ragione, avrebbero dovuto – secondo i britannici – abbandonare la loro posizione di vantaggio e scappare, li attendevano, al contrario, sulla costa catturando o uccidendo i pochi ucraini che ci mettevano piede.
Del tutto deficitari i piani sia di ulteriori rifornimenti militari sia alimentari in corso di attacco, e ovviamente anche in caso di evacuazione dei pochi sopravvissuti.
Durante l’inverno tra il 2023 e il 2024 la situazione si sarebbe ulteriormente deteriorata e, a maggio 2024, era diventata “un disastro”. Nonostante ciò gli ultimi marine ucraini poterono ritirarsi solo due mesi dopo.
L’accusa di The Gray Zone è che migliaia di soldati siano stati usati e mandati a morte dai comandi militari britannici ma che, ovviamente, nessuno tra loro ne pagherà mai le conseguenze.
I droni israeliani e il doppio standard
Chiudiamo con alcune considerazioni sull’attacco israeliano in acque internazionali contro la Freedom Flotilla – che avrebbe dovuto trasportare aiuti umanitari a Gaza, forzando il blocco illegale di Israele che sta, di fatto, contravvenendo non solo a ogni legge di diritto internazionale ma anche al più basico principio umanitario.
Come riporta Al Jazeera (e altri), Israele sarebbe stato chiamato a rispondere dalla Freedom Flotilla della violazione del diritto internazionale – a cui partiene ovviamente il divieto di bombardare una nave civile. Tutto ciò al largo di Malta (e, secondo la Freedom Flotilla, esattamente a 14 miglia nautiche dall’isola del Mediterraneo). A questo fatto si aggiunge il blocco (illegale) di Gaza, a opera degli israeliani, dove da due mesi non arrivano né cibo né medicine e, come scrive Al Jazeera: “la poppolazione sta lottando per sopravvivere”.
I due droni hanno provocato un incendio a bordo e una falla importante nello scafo, mentre una trentina di attivisti turchi e azeri ha cercato di evitare l’inabissamento dell’imbarcazione in attesa che una nave di soccorso arrivasse da Cipro Sud, rispondendo all’SOS lanciato. Ovviamente Israele non ha commentato – ma chi altri avrebbe agito, sapendo di poterlo fare impunemente. E chi ricorda come a maggio del 2010 Israele attaccò la Mavi Marmara, una delle sei navi della Freedom Flotilla che tentavano di forzare il blocco navale di Gaza, uccidendo nove attivisti turchi?
Questo fatto in sé gravissimo, anche se non ha causato le vittime di altre tragedie in mare, dimostra ancora una volta come il doppio standard occidentale stia andando talmente oltre da mettere in discussione persino i medesimi personaggi e le narrazioni, precedentemente usati dalla Ue (e da una certa pseudo-sinistra in cerca di bussola) con altre motivazioni. E difatti, le navi che raccolgono al largo i migranti africani per poi sbarcarli sulle nostre coste a un futuro, spesso, di clandestinità e sfruttamento, esaltate come eroiche da anime belle incapaci di leggere i giochi di potere, possono essere il bersaglio di droni di Paesi alleati quando vogliano trasportare aiuti umanitari senza grandi levate di scudi. Mantre una Greta Thunberg (che avrebbe dovuto essere a bordo ma non si sa perché non c’era) utilissima quando si pensava, in Unione Europa, di detenere un qualche primato tecnologico green, da vendere a caro prezzo al Sud del mondo, è ora silenziata in quanto – tra guerre, miniere di carbone e riarmo – il green è passato di moda.
venerdì, 16 maggio 2025
In copertina: Immagine diy Vilius Kukanauskas da Pixabay