
Quello che nessuno scrive, Michelangelo Severgnini ve lo racconta
di Simona Maria Frigerio
Sono decine di migliaia e hanno il coraggio di sfidare non un dittatore bensì un intero sistema mafioso – come lo definisce lo stesso Severgnini – esercitato da oltre un decennio dalle milizie di Tripoli, per rivendicare il diritto di essere liberi e non semplici pedine nei giochi imperialisti statunitensi e dei Paesi occidentali (dal Regno Unito alla Francia, passando per la nostra Italietta). Proprio per racontare cosa sta succedendo in questi giorni in Libia e spiegare che non siamo di fronte a ‘un tutti contro tutti’, come lo definiscono alcune testate anche della cosiddetta sinistra ormai omologate al mainstream, chiediamo a Michelangelo Severgnini, giornalista, documentarista, musicista e video-maker – che conosce bene la situazione – cosa sta realmente accadendo a Tripoli.
Michelangelo Severgnini: «La situazione a Tripoli era già compromessa. Questo perché a governare Tripoli vi è quella che definirei una follia politico-militare, nel senso che per anni si è pensato di utilizzare degli pseudo governi, che non hanno mai ricevuto la fiducia del parlamento libico – che risiede a Bengasi – come ombrello per mascherare il fatto che il vero potere era esercitato da gruppi armati, a loro volta espressione diretta degli squadroni della Nato che furono preparati e sguinzagliati in Libia per abbattere Gheddafi. Sono queste milizie armate che, per anni, si sono impossessati delle ricchezze di un Paese – che, ricordiamo, prima del 2011 era considerata la ‘Svizzera’ del Nordafrica. Dal petrolio alla tratta degli esseri umani ma anche tutti gli affari che passavano da Tripoli erano nelle mani di queste milizie, ognuna delle quali agiva secondo i propri criteri e scopi, controllando il territorio con l’uso delle armi e minacciando sia i cittadini libici residenti in Tripolitania sia gli imprenditori con metodi che definirei mafiosi. Questa situazione, però, negli ultimi tempi è andata modificandosi perché se è vero che le milizie di Tripoli si sono finanziate per oltre un decennio con il contrabbando del 40% del petrolio libico, è anche vero che dal 2022/2023 l’Esercito Nazionale Libico di Haftar (1) si è reso conto che, sebbene non gli fosse consentito prendere il potere a Tripoli militarmente per via dell’opposizione della comunità internazionale, era però possibile agire su altri fronti più ‘diplomatici’. Nel 2022, in primis, è stato sostituito il Presidente della National Oil Corporation (il NOC, l’ente petrolifero statale libico), ovvero Mustafa Sanalla che, dopo una decina d’anni di potere ininterrotto, ha passato le consegne a Farhat Bengdara (2); e, il 30 settembre del 2024, dopo oltre un decennio, il governatore della Banca Centrale della Libia (BCL) Saddek Elkaber è stato sostituito con Naji Mohamed Issa Belqasem. Ovviamente entrambe le istituzioni hanno sede a Tripoli ma queste figure hanno cominciato a offrire una sponda a Bengasi essendo state nominate grazie a un accordo tra Tripoli e Bengasi. Quindi, i proventi del petrolio a questo punto hanno cominciato a essere spartiti e il Parlamento di Bengasi li ha utilizzati anche per rafforzare l’Esercito Nazionale Libico, mentre alle milizie di Tripoli è rimasto poco rispetto a quanto riuscivano a guadagnare precedentemente. Per farla breve, il nervosismo è andato crescendo in maniera esponenziale».

Che ruolo sta giocando la Turchia nel nuovo scenario che lei delinea?
M. S.: «Se nel 2020 la Turchia era intervenuta militarmente a difesa di Tripoli su mandato, di fatto, della Nato; negli ultimi due anni ha allacciato rapporti solidi anche con Bengasi. Occorre dire che Erdoğan si era prestato al gioco cinque anni fa perché pensava di ottenere vantaggi per il proprio Paese ma, alla fine, si è reso conto che i pozzi petroliferi non sono a Tripoli bensì a Bengasi e anche se vi è una risoluzione internazionale che prevede l’obbligo di passare da Tripoli per la vendita del petrolio, di fatto i pozzi sono in mano al governo legittimo libico. Ecco perché è diventato più interessante per la Turchia ripristinare i rapporti con il parlamento di Bengasi, i cui rappresentanti si recano regolarmente ad Ankara e viceversa, sono stati ripristinati i voli e i figli di Ḥaftar sono stati ospitati più volte in Turchia. Il fatto che i rapporti tra Erdoğan e il Parlamento di Bengasi siano oggi eccellenti è diventato un problema per le milizie che si sono rese conto di non essere più decisive in Libia e questo ha innervosito ancor di più i capi dei gruppi armati».
L’uccisione di Al-Kikli è stata un segnale di questo nervosismo?
M. S.: «L’omicidio di Al-Kikli (3) il 12 maggio, ovvero del numero tre delle milizie di Tripoli – che era stato ‘pizzicato’ il marzo scorso all’ospedale dell’Eur a Roma, indisturbato – è stato probabilmente l’esito di un complotto che possiamo immaginare ordito da Dbeibeh (4). Quest’ultimo potrebbe aver deciso di eliminarlo, insieme alla sua milizia, forse su input statunitense partendo probabilmente da un semplice ragionamento. La Libia va riunita perché questa situazione di instabilità ha come esito principale che, da anni, non si fanno più investimenti nelle infrastrutture petrolifere e di estrazione del gas e, quindi, la produzione sta decrescendo progressivamente. Questo non conviene a nessuno: occorre un Paese stabile e unificato per ottenere gli investimenti necessari. Il problema della riunificazione, per gli Stati Uniti, è che probabilmente i libici voterebbero Saif Gheddafi mentre gli States vorrebbero uno Stato unitario senza che Gheddafi ne diventi il Presidente. Il piano che forse stavano progettando era di utilizzare anche il Tribunale Internazionale dell’Aia, dove sono depositati i fascicoli contro diversi leader delle milizie di Tripoli e anche contro Saif Gheddafi. Quindi, ipotizzando una sorta di par condicio – che soddisfacesse tutti – gli statunitensi pensavano di eliminare dal gioco, da una parte, le milizie (alquanto difficili da gestire) e, dall’altra, Gheddafi. Questo piano, però, è vendibile solamente all’opinione pubblica internazionale perché, in Libia, Saif è considerato una persona seria, colta, preparata e gode di un vastissimo consenso popolare; mentre le accuse nei suoi confronti sono relative ai mesi dei combattimenti del 2011. In pratica, dato che il padre era stato accusato di avere ordinato dei massacri e siccome lui ne era il braccio destro, si era dedotto che non poteva non esserne informato e, quindi, ne era complice. In realtà, per queste stesse accuse un tribunale libico lo ha assolto anni fa con formula piena (5)».

Tornando a Dbeibeh, chi è davvero il Primo Ministro libico e su quali tavoli gioca?
M. S.: «Dbeibeh, la settimana scorsa, ha ufficialmente recepito le istanze del Tribunale Internazionale dell’Aia sebbene il Parlamento da Bengasi gli abbia fatto presente che tale decisione doveva essere presa dallo stesso in quanto Dbeibeh è un Primo Ministro ormai da anni privato del voto di fiducia. Perché avrebbe fatto, quindi, tale mossa? Perché gli consentiva di ripulire, nel frattempo, i vertici delle milizie e, contemporaneamente, mettere fuori gioco Saif Gheddafi. Ma questa è un’idea che può essere nata, come dicevo prima, solamente in Occidente perché nessuno, in Libia, metterebbe sullo stesso piano Gheddafi e uno qualsiasi tra i capi delle milizie. Ed ecco che torniamo alla trappola ordita contro Al-Kikli. Era stato programmato un incontro tra i leader delle milizie come se fosse una riunione della cupola di Cosa Nostra. Da come riportano la notizia le fonti locali, questi pseudo-boss arrivano tutti insieme, tirano fuori le pistole, e freddano Al-Kikli e i suoi bodyguard. Nei giorni seguenti, com’è ovvio, la milizia privata del suo leader si sfalda e i suoi uomini sono uccisi. Tant’è vero che gira una battuta in Libia, ovvero che: “il prossimo incontro tra i capi delle milizie avverrà su zoom!”. Ma torniamo seri. Il piano, in ogni caso, non è andato in porto perché l’uccisione di Al-Kikli ha semplicemente destabilizzato la situazione tra le milizie e ciò che è accaduto a Tripoli in quei due o tre giorni ha dimostrato ancora di più ai libici in Tripolitania che non è più possibile andare avanti così e di essere praticamente ostaggi di clan armati che agiscono come dei mafiosi. L’ultima trovata di Dbeibeh, alcuni giorni fa, è stata di tenere un discorso televisivo a reti unificate, rivolgendosi all’intero Paese, ammettendo lui stesso di essere stato ostaggio delle milizie e che molte decisioni che aveva preso erano state obbligate, che aveva sbagliato ma non poteva fare diversamente e prometteva che se il Paese gli avesse rinnovato la fiducia, avrebbe ripulito la Tripolitania da tutte le milizie assicurando un futuro prospero ai libici. Un discorso a cui nessuno ha creduto perché Dbeibeh è ancora Primo Ministro solo grazie al potere delle milizie e non può liberarsene. Vorrei chiudere ricordando che, nel 2020, quando l’Esercito Nazionale Libico era alla periferia di Tripoli, la comunità internazionale si intromise anche grazie all’appoggio dei turchi – già citato – e per tale ragione i rappresentanti libici firmarono gli Accordi a Ginevra (6), che prevedevano anche il superamento dello status quo e la riunificazione del Paese. Il Parlamento di Bengasi accettò la proposta e diede il voto di fiducia a Dbeibeh, il 15 marzo 2021, con il solo mandato di indire le elezioni – che si sarebbero dovute tenere nel dicembre dello stesso anno. Non essendosi però svolte, a causa dell’opposizione delle milizie, Dbeibeh di fatto avrebbe dovuto dimettersi. Al contrario, è rimasto saldamente al potere nonostante a marzo 2022 il Parlamento di Bengasi gli abbia revocato il voto di fiducia e lo abbia sostituito, prima, con Fathi Bashagha e, nel 2023, con Osama Hammad. Di fatto Dbeibeh, da marzo 2022, ricalca la situazione del premierato di Fayez al-Sarraj, in carica a Tripoli dal 2015 al 2020, letteralmente paracadutato dalla comunità internazionale in seguito agli Accordi di Skhirat (7), con Parlamento e Governo a Bengasi e Dbeibeh, Primo Ministro, a Tripoli, senza voto di fiducia».
Saif Gheddafi potrebbe essere il leader che riunifica il Paese, godendo anche di credibilità a livello internazionale?
M. S.: «La credibilità, in Libia, è indubbia. Saif Gheddafi era già di fatto operativo nel 2011, aveva affiancato il padre e lo aveva addirittura sostituito prima di tale data lanciando il progetto denominato Libia Tomorrow – per il quale aveva reperito i fondi al fine di provvedere alla costruzione di tutta una serie di infrastrutture nel Paese (8). Già da dicembre 2021 si sa che la maggioranza dei libici lo voterebbe e tutti i sondaggi lo davano (e lo danno) per favorito; per questo motivo, le elezioni furono annullate una settimana prima del voto. Come? L’Occidente si intromise, utilizzando di fatto le milizie di Tripoli, che circondarono la sede del Governo libico in città, dove si trovava l’ufficio del Primo Ministro Dbeibah, e la sede del Consiglio presidenziale. A livello internazionale, invece, è più difficile rispondere, dato che Gheddafi si muove molto sotto-traccia e non ci sono sue dichiarazioni nei confronti degli attori internazionali né viceversa. Però, posso citare un episodio molto singolare, ovvero che nel gennaio scorso Saif ha scritto un articolo sulla questione curda. Questo dopo che Öcalan aveva già fatto sapere che stava procedendo allo scioglimento del Pkk. Gheddafi a quel punto scrive un articolo affermando che i curdi attualmente sono una minaccia per la Turchia e un attore in mano all’imperialismo. A me, leggendo il pezzo, è sembrata un’apertura nei confronti di Ankara – tanto è vero che l’articolo è stato ripreso e commentato anche in Turchia».

A questo punto, però, sembrerebbe che Dbeibah e il Parlamento di Bengasi si stiano accordando per il nome di un Primo Ministro che traghetti il Paese unitariamente a nuove elezioni, mentre i giovani di Tripoli continuano a scendere in piazza.
Perché l’Onu ha sostenuto per anni il Governo di Tripoli, che era espressione delle milizie?
M. S.: «Questa è la domanda delle domande. Se la pongono tutti in Libia, fin dagli Accordi di Skhirat del 2015. Ne L’Urlo (9), la ponevo a Vincent Cochtel, inviato speciale dell’UNHCR per il Nordafrica e, quindi, anche per la Libia. Gli chiesi perché – se le milizie erano responsabili della tratta dei migranti, di tortura, rapimento, estorsione, eccetera – le Nazioni Unite riconoscessero il Governo di Tripoli che, oltretutto, non aveva la fiducia del Parlamento di Bengasi. La sua risposta fu che non era una domanda da fare a lui perché lui si occupava solo dei rifugiati, e che avrei dovuto porla ai rappresentanti delle Nazioni Unite. Credo occorrerebbe capire meglio il funzionamento delle stesse. Noi ci illudiamo che l’Onu sia come una madre che si interessa dei suoi figli e che cerca di fare da paciere in caso di discordie. Io definirei le Nazioni Unite, al contrario, come un autobus che si affitta con un obiettivo specifico: si compra una serie di delegati, si propone una mozione, la si fa votare e approvare e, poi, si va nel Paese che interessa e si realizza il piano. La missione Onu in Libia è controllata, di fatto, dagli Stati Uniti e, questo, da sempre. Tutti gli inviati che si sono succeduti sono stati vagliati dagli Stati Uniti. Nessun Paese che fa parte delle Nazioni Unite ha avuto la forza o l’interesse per contrastare le scelte degli statunitensi sulla questione libica; anzi, l’Europa le ha appoggiate».
Cosa ci si può aspettare che accada nei prossimi giorni e mesi in Libia?
M. S.: «Tutti i settori della Tripolitania sono in rivolta contro le milizie e addirittura l’Alto consiglio di Stato e il Consiglio presidenziale – due organi non elettivi, istituiti dalle Nazioni Unite – hanno preso le distanze dal Primo Ministro e stanno sostenendo le manifestazioni in piazza. Mentre il Parlamento a Bengasi si sta riunendo a oltranza per trovare un nome che possa essere la figura che riporterà il Paese alle elezioni. Però, faccio notare che queste speranze sono le medesime del 2021. Se uno nomina un premier per indire le elezioni e poi quest’ultimo non lo fa… Anche perché occorreranno almeno 7/8 mesi per prepararsi alle elezioni e, in questo lasso di tempo, può succedere di tutto. In ogni caso, al momento, sembra l’unica strada percorribile anche se ‘l’elefante nella stanza’ resta Saif Gheddafi e, fintanto che sarà in testa ai sondaggi, gli Stati Uniti e il Regno Unito cercheranno di opporsi. Nel qual caso, o l’Esercito Nazionale Libico riesce a conquistare Tripoli, oppure Trump cede la Libia in cambio di qualche altro Paese che gli interessa maggiormente».

Spostandoci di qualche chilometro, e tornando alla Turchia, come era nato e cosa era diventato il Pkk perché il suo fondatore, Abdullah Öcalan, ne abbia chiesto lo scioglimento?
M. S.: «Il Pkk è stato fondato nel 1978 e ha iniziato la lotta armata nel 1984. Nasceva come formazione politica anti-imperialista sostenuta dall’Unione Sovietica – tanto è vero Öcalan è stato per anni rifugiato in Siria quando il Paese era legato all’Urss. Però, dopo l’arresto di Öcalan (10), iniziò quello che si potrebbe definire uno slittamento del Pkk – sia a livello politico sia di relazioni internazionali. Il grande cambiamento, in ogni caso, avvenne tra il 2014 e il 2015 quando iniziò l’assedio di Kobanê (11) in Siria. A quel punto decisero di intervenire i curdi dell’Iraq, i Peshmerga. Va detto che i curdi iracheni – dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003 – sono legati agli statunitensi e, addirittura, lo erano fin da prima dato che furono complici degli statunitensi nelle Guerre del Golfo, ottenendo in cambio la gestione del Nord dell’Iraq – notoriamente ricco di pozzi petroliferi e, di fatto, dal 2004 gestito dai Barzanî (12). Di fronte all’assedio di Kobanê, dove si rischiava un autentico genocidio dei curdi siriani a opera dell’Isis, Barzanî e i leader del Pkk, e di altre formazioni che si stavano costituendo in quella fase, decisero di intervenire ma Barzanî pose la condizione che scegliessero da che parte stare. Il quartier generale del Pkk turco era già sui monti di Kandil, in Iraq, e più volte le autorità di Baghdad si erano opposte alla sua presenza in territorio iracheno. Quindi, i curdi iracheni, in quel momento storico, agirono come tramite tra il Pkk e i loro ultra-ventennali alleati, ossia gli Stati Uniti e Israele. Quando Öcalan, già nel 2015, chiese lo scioglimento del Pkk rendendosi conto che il suo movimento non aveva più niente a che fare con le ragioni per cui era stato fondato e, al contrario, si stava trasformando in uno strumento dell’imperialismo statunitense, purtroppo fu tacitato. Mi spiego meglio. Tra il 2008 e il 2015 Öcalan poteva ricevere regolarmente in carcere delle delegazioni, con le quali parlava liberamente e ogni settimana i suoi discorsi erano riportati dalla stampa turca. Quindi, la sua linea di pensiero era nota. Dal suo appello per il disarmo del Pkk, nella primavera del 2015, il Governo turco decise di silenziarlo e così resterà, privo di parola verso l’esterno, fino a novembre del 2024. Purtroppo, in quella fase, nel 2015, ad Ankara faceva comodo la guerra contro i curdi. Erdoğan aveva bisogno di ricompattare il proprio potere e, in più, era in coalizione con soggetti che spingevano per la lotta contro il Pkk, mentre la richiesta di disarmo toglieva qualsiasi pretesto al Governo turco per continuare la guerra contro i curdi. Al contrario, nel 2024, la proposta di Öcalan, con il nuovo scenario siriano, diventa improvvisamente importante per il Governo turco, non tanto per una questione interna quanto per incidere pesantemente sulle FDS (13). Quando Öcalan torna a parlare, nel novembre del 2024, non è ancora partito l’attacco di HTS e se Öcalan avesse avuto il tempo di chiedere ufficialmente il disarmo del Pkk che combatteva a fianco delle FDS, si sarebbe smantellato lo Stato curdo e permesso al Governo siriano di riprendere il controllo dei pozzi petroliferi, mantenendo in vita lo Stato governato da al-Assad. Altri soggetti, verosimilmente Stati Uniti e Israele, quando hanno capito che la Turchia stava usando Öcalan per sciogliere il Pkk, hanno dato il via all’attacco dell’HTS (14) perché avevano capito che o facevano cadere al-Assad in quel momento o non ci sarebbero più riusciti. L’appello ufficiale di Öcalan è stato trasmesso, il 27 febbraio di quest’anno, a reti unificate in Turchia. Il problema è che la richiesta di scioglimento e disarmo non ha avuto l’esito sperato. Il 12 maggio scorso, nella stessa data in cui è stato ucciso Al-Kikli, il Pkk ha tenuto il congresso di scioglimento nel nord dell’Iraq e però le varie dichiarazioni rilasciate fanno presagire che i suoi miliziani continueranno a combattere, come parte delle FDS».

Nessuno avrebbe potuto esercitare una forma di controllo su questa fase di smilitarizzazione del Pkk?
M. S.: «Vorrei introdurre un’altra figura nel discorso, quella di Sırrı Süreyya Önder, un politico turco, etnicamente non curdo, ma che ha sempre militato nei movimenti per la pace e anche a favore dei curdi e, dal 2011/2012, era il responsabile della delegazione che incontrava regolarmente Öcalan in carcere, al punto che era diventato il suo braccio destro. Era lui che faceva da tramite tra Öcalan e il partito filo-curdo oltre che con la comunità curda più in generale. Quest’uomo è morto il 3 maggio scorso per un attacco cardiaco molto sospetto visto che solo qualche giorno prima gli avevano sabotato l’auto. Inoltre, vi è la dichiarazione di un politico che lo aveva incontrato qualche giorno prima dell’infarto e che ha ricordato come, in confidenza, Önder gli avesse rivelato che quando era stato da Öcalan, l’ultima volta, questi gli aveva detto che, in seguito all’appello al disarmo, gli Stati Uniti e Israele avrebbero cercato di ‘farlo fuori’. Questa frase è stata riportata da un politico accreditato in Turchia e, in effetti, Önder muore dopo 18 giorni in cui lotta tra la vita e la morte. Con lui muore una figura fondamentale perché aveva contribuito alla stesura del famoso appello ed era l’unico che potesse far notare le discrepanze tra la volontà di Öcalan e quello che poi effettivamente ha fatto il Pkk. Ripeto: Öcalan chiede espressamente non solo lo scioglimento del Pkk, ma anche la consegna delle armi di tutti i gruppi armati associati con il Pkk, come le YPG siriane – e non che i miliziani del Pkk cambino semplicemente casacca, trasferendosi in Siria per diventare membri effettivi delle FDS. La riflessione filosofica e politica di Öcalan dimostra un grande spessore. Lui sottolinea che la stagione storica che aveva portato alla fondazione del Pkk è terminata e, in questo momento, non c’è più bisogno di quel movimento armato ma, al contrario, esistono potenze imperialiste che stanno utilizzando il Pkk contro la Turchia. Öcalan ha ricordato l’importanza della fratellanza che esiste tra curdi e turchi da almeno mille anni. Il Pkk, al contrario, sta dimostrando di non voler cogliere né lo spirito né la lettera di quanto richiesto dal fondatore del movimento. In sostanza ha solo deciso di fare a meno del nome con il quale era noto e l’unica figura che avrebbe potuto esercitare un controllo su questa fase, anche perché vicepresidente della Grande Assemblea Nazionale turca e membro del Partito filo-curdo, è morta».
Qual è la posizione del Partito filo-curdo in Turchia?
M. S.: «Il partito è spaccato internamente, a maggior ragione adesso. Tra il 2013 e il 2015, quando vivevo in Turchia, già notavo la spaccatura. Oggi c’è chi capisce il messaggio di Öcalan ma anche chi non vuole proprio capirlo: lui ha chiaramente affermato che curdi e turchi erano gli uni contro gli altri perché qualcuno li aveva messi in tale posizione. Adesso è arrivato il tempo di smetterla di spararsi addosso: in Turchia non ci sono più i quadri dei servizi segreti, infiltrati dalla Nato, come negli anni 80 e 90. Non a caso Erdoğan, nel 2016, ha subito un tentativo di colpo di Stato ideato dalle componenti più filo-Nato all’interno del Paese, che partì dalla base aerea di Incirlik – in parte controllata dagli Stati Uniti. Secondo Öcalan bisogna eliminare le interferenze straniere e tornare a essere fratelli perché se negli anni 70 e 80 la scelta della lotta armata era motivata dalla necessità di difendere i villaggi curdi, oggi la situazione è completamente diversa e occorre entrare a far parte dello Stato e delle istituzioni turche dando il proprio contributo. Sebbene con il trattato di Losanna del 1923 (15) si fosse sancita la fine dell’Impero Ottomano e la nascita della Turchia, della Siria, dell’Iraq, eccetera, e si fosse stabilito che doveva costituirsi anche uno Stato curdo, oggi il vero obiettivo è creare una Confederazione di tutto il Medio Oriente, in quanto i popoli arabi sono strutturati da un punto di vista culturale, etnico, religioso e politico diverso dall’Occidente, alleggerendo il peso delle frontiere. Lo Stato-Nazione è frutto della logica di Israele, che ha voluto importare in Medio Oriente il concetto di Stato su base etnica. Ma questa idea tutta israeliana non è mai stata propria del Medio Oriente. Trovo meraviglioso che Öcalan faccia una tale riflessione proprio mentre Israele, sostenendo i curdi in Siria, porta avanti il progetto di una ulteriore frammentazione di quello Stato. Persino Rubio (16) ha ammesso che la Siria va verso una nuova guerra civile».
(1) Il generale Haftar è Ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore del Governo di Bengasi (in Cirenaica). Da alcuni mesi sta tessendo rapporti sempre più stretti sia con Ankara sia con la Federazione russa
(2) Attualmente vi è un nuovo Presidente ad interim, l’ingegnere Masoud Suleiman
(3) Abdul Ghani al-Kikli, meglio noto come Gheniwa, secondo l’Onu e varie Ong era responsabile di abusi, omicidi e violazioni dei diritti umani. Anche lui è stato ‘ospite’ del nostro Paese senza alcun problema
(4) Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, dal 15 marzo 2021 è Primo Ministro della Libia ad interim
(5) Sull’assoluzione di Saif al-Islam Gheddafi, si veda: https://www.ancorafischiailvento.org/2024/04/04/saif-gheddafi-e-il-futuro-della-libia-mohamed-el-asmar/
(6) A Ginevra, venerdì 23 ottobre 2020, sotto egida Onu, si raggiungeva un’intesa sulla cessazione permanente delle ostilità e un cessate il fuoco immediato
(7) Gli accordi di Skhirat (in Marocco) sono stati firmati il 17 dicembre 2015 sotto egida Onu e su iniziativa del Governo marocchino. La costituzione di un nuovo Consiglio presidenziale formato da nove membri ne vide ben sei scelti dalle Nazioni Unite, ovvero il succitato Al Sarraj (designato quale Presidente), Ahmed Maetig, Fathi Majbri, Musa Koni, Omar Aswad e Mohamed Ammar. Si riconoscevano entrambi i parlamenti libici: la Camera dei Rappresentanti di Tobruck diventava Camera bassa, mentre il Congresso di Tripoli era denominato Consiglio di Stato (o Camera alta). L’obiettivo era traghettare la Libia, entro due anni, a elezioni nell’intero Paese
(8) Ricordiamo l’alluvione della città di Derna del 2023 – che potrebbe aver causato la morte di 20mila persone – provocata non tanto dal ciclone, quanto dal crollo di due dighe che non si erano giovate di alcuna manutenzione fin dal 2002
(9) La recensione del docu-film di Michelangelo Severgnini:
https://www.inthenet.eu/2024/07/05/nel-giorno-della-liberazione-di-julian-assange-esce-lurlo/
(10) Öcalan dovette abbandonare la Siria, ove era stato rifugiato per anni e, dopo un periodo trascorso in Russia, il 12 novembre 1998, giunse a Roma, ove venne arrestato in esecuzione di un mandato di cattura emesso dalla Germania (che però non richiese mai l’estradizione) e di un altro emesso dalla Turchia, Paese verso il quale l’Italia non avrebbe mai concesso l’estradizione perché rischiava la pena di morte. Öcalan chiese il riconoscimento del diritto di asilo avanti il Tribunale di Roma ma, a causa delle pressioni subite dal nostro Governo, fu indotto a lasciare l’Italia. Dopo una serie di peripezie, arrivò in Kenya – presso la residenza dell’ambasciatore greco – ma, il 15 febbraio 1999, in circostanze mai chiarite, fu catturato dagli agenti dei Servizi segreti turchi, tradotto illegalmente in Turchia e recluso nel carcere di Imrali
(11) Kobanê, città siriana, al confine con la Turchia, presa di mira dall’ISIS nel settembre 2014 e riconquistata dalle forze curde con l’aiuto statunitense il 27 gennaio 2015
(12) Mas’ud Barzanî è stato Presidente del Kurdistan iracheno, ufficialmente provincia autonoma dell’Iraq, dal 2005 al 2017; suo nipote, Nêçîrvan Îdris Barzanî, ricopre tale carica dal 2018
(13) Le FDS, Forze Democratiche Siriane, sono un’alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache
(14) Come riferiva Severgnini in una precedente intervista, i legami tra i curdi di SDF e i terroristi di HTS sono stretti: “riguardo al valico di Al-Hamran, risulta che lo stesso collegava direttamente i territori controllati dai curdi con quelli di HTS. Questo valico ha generato una ricchezza pari almeno a 2 milioni di dollari al mese. Il traffico riguardava essenzialmente il petrolio che era estratto nei territori controllati da SDF – e che avrebbe dovuto essere siriano ma a Damasco non arrivava una goccia. In compenso, arrivava sottocosto a HTS, organizzazione che ne aumentava il prezzo e, grazie al monopolio che era riuscita a instaurare, lo rivendeva perfino ai territori controllati da al-Assad, così come a quelli controllati dai turchi. Questo commercio illegale è proseguito per almeno un paio d’anni. Evidentemente è stato in questo modo che i miliziani di HTS hanno costituito il budget per acquistare i droni dall’Ucraina e tutte le armi che gli sono servite per la presa di Damasco”:
(15) La Convenzione di Losanna è un trattato di pace firmato il 24 luglio 1923 tra la Turchia e le Potenze dell’Intesa, che ha posto fine al conflitto greco-turco ridisegnando ‘a tavolino’ i confini stabiliti dal precedente Trattato di Sèvres (del 1920, stilato tra l’Impero Ottomano e le potenze alleate della Prima guerra mondiale) così da determinare nuove frontiere tra Grecia, Bulgaria e Turchia, azzerando le pretese di quest’ultima su Cipro, Regno dell’Iraq e Siria
(16) Il Segretario di Stato statunitense, Marco Rubio – riguardo alla Siria e a HTS, per l’Onu organizzazione terroristica, che ha recentemente massacrato gli appartenenti alla minoranza alawita – durante un’audizione al Senato, come riporta RTS, avrebbe affermato: “La nostra valutazione è che, francamente, l’autorità di transizione, viste le sfide che sta affrontando, è probabilmente a settimane, non mesi, di distanza dal potenziale collasso in una vera e propria guerra civile di proporzioni epiche, che sostanzialmente porterebbe il Paese alla disgregazione”
venerdì, 23 maggio 2025
In copertina: Medio Oriente o Asia Occidentale (Pubblico dominio)
Nel pezzo:
Recep Tayyip Erdogan, Presidente della Repubblica di Turchia (foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica italiana);
Abdul Hamid Dbeibah, in visita presso la Commissione Europea nel 2024 (CC BY 4.0);
Copertina del libro L’Urlo di Michelangelo Severgnini;
Abdullah Öcalan, foto tratta da: https://thekurdishproject.org/history-and-culture/famous-kurds-old/abdullah-ocalan/;
Sırrı Süreyya Önder nel 2023 (CC BY 3.0)