
Come trasformare il pellegrinaggio in una ‘experience ’
di Simona Maria Frigerio
Trascorri una settimana in Malaysia e, nonostante l’isola di Penang sia a maggioranza cinese, ti rendi conto che la parte della popolazione musulmana non solo è presente ma dimostra un approccio non propriamente laico alla vita. Sebbene vedi che le donne sono in giro, spesso in gruppo o con amiche (senza un accompagnatore maschio), si fotografano a vicenda e molte lavorano sfoderando, alcune, un buon inglese (anche perché in Malaysia le minoranze sono molte e ognuna pare che parli nella propria lingua o dialetto), non si può fare a meno di notare che il velo è indossato anche da bambine delle elementari e il volto delle giovani è spesso coperto – lasciando intravedere solo gli occhi.
L’idea della Malesia di Sandokan è lontanissima dalla realtà di un moderno melting pot – etnico, religioso, linguistico e di tradizioni – post-coloniale, che pare non solamente poco omogeneo ma persino poco coeso. La solita eredità dell’impero britannico: la creazione di uno Stato a tavolino come tanti altri, dove il senso della nazione sfugge.
E poi sali su un aereo di un operatore della Malaysian Airlines e ti ritrovi una pagina sulla rivista della Compagnia che pubblicizza il pellegrinaggio a Medina e altre città dell’Arabia Saudita come se fosse un qualsiasi tour, dopo giorni scanditi a orari regolari dal canto del muezzin, ai negozi chiusi canonicamente il venerdì, e a ristoranti che assicurano di non servire carne di maiale – salvo poi vederne alcuni squartati, scaricati da un camion direttamente nel retro di una macelleria.
Come sappiamo il viaggio alla Mecca è obbligatorio almeno una volta nella vita di un musulmano osservante. Ma non avremmo mai pensato che potesse trasformarsi in una esperienza da privilegiati, con tutti i comfort, e un servizio ad hoc per godere al meglio di quello che dovrebbe essere un percorso non solamente fisico ma spirituale, interiore, di purificazione, e che – al contrario – diventa un divertissement.
Le contraddizioni del dio petrolio
Questa immagine patinata si scontra con quella dei tagliagole integralisti che ci hanno proposto i media per anni – dai talebani osservanti con barba incolta obbligatoria ai membri dell’Isis o di Al Qaeda(?), che possono diventare presentabili semplicemente mettendosi in doppio petto e promettendo di svendere il proprio Paese (pardon: l’ultimo Stato sovrano a vocazione socialista e laica conquistato, grazie ai finanziamenti e alle armi dello zio Sam) alle multinazionali targate Us (senza le quali avrebbero ancora una taglia sulla testa).
Da un lato, un Islam da shariah che decapita il trafficante di stupefacenti e mozza la mano al ladro, lapida gli adulteri ma anche coloro che hanno rapporti sessuali prematrimoniali, impone nozze combinate e preclude l’educazione delle donne; dall’altro, un Islam ricco (come quello dei Paesi arabi) che, grazie al petrolio, si permette di viaggiare in business class, acquistare braccialetti da mezzo milione di dollari nelle fiere orafe internazionali, indossare lingerie di pizzo sotto montagne di veli neri e barcamenarsi tra Us e Opec+, tra la strage dei palestinesi e i poveri che dormono sotto i portici a un metro dalle fogne a cielo aperto, dimentichi dei precetti dell’Islam quando non si tratti di potere e patriarcato.
Dove sarà la differenza tra un capitalista musulmano, confuciano, cristiano, buddhista o induista? Alla fine, raschia raschia, sotto l’ideologia religiosa di facciata – che serve troppo spesso per scopi altri, ovvero di sopraffazione di una parte della popolazione, siano le donne o i fuori casta o i poveri, nella società calvinista – resta il solito maschio prevaricatore, che si sollazza andando alla Mecca o aprendo il tempio del proprio clan per mostrarne ricchezza e prestigio, mentre sfrutta altri esseri umani e le risorse naturali che apparterrebbero ai popoli. Né più né meno delle signore, laiche e figlie del decantato illuminismo, al potere a Bruxelles.
venerdì, 20 giugno 2025
In copertina: pagina pubblicitaria, fotografata da una rivista su un volo Malaysian Airlines operato da FireFly