
Effetti avversi gravi e mancanza di rispetto per la psiche femminile
di Simona Maria Frigerio
Quando arrivò in Italia, la pillola RU486 fu salutata dal movimento femminista come una grande conquista per l’autodeterminazione sul proprio corpo da parte delle donne (1).
A differenza del metodo Karman, che assicura alla donna in regime di day hospital la massima sicurezza e un’assistenza anche psicologica – a meno di non finire, come in alcuni blasonati ospedali italiani, nel Reparto maternità quando si scelga l’interruzione volontaria di gravidanza, o ci si scontri contro uno Stato che garantisce un diritto sulla carta ma poi assume, negli ospedali pubblici dove tale intervento è legale, ginecologi, anestesisti, infermieri e persino barellieri obiettori di coscienza (che, se contrari, dovrebbero essere assunti solo in strutture private dove non si pratica l’IVG) – la RSU486 lascia nuovamente la donna da sola, tra sofferenze fisiche e psicologiche difficili da superare.
Prima di venire all’ultimo studio pubblicato dall’Ethics and Public Policy Center che ha analizzato i casi di 865.727 donne, le quali hanno fatto uso – tra il 2017 e il 2023 – di mifepristone per l’interruzione volontaria di gravidanza, ho raccolto io stessa alcune testimonianze di donne e una, in particolare, mi ha colpita. Dopo aver assunto la prima pillola di mifepristone (la RU486), la donna ha atteso una mezz’ora in ambulatorio e poi è stata congedata. Teoricamente non doveva accaderle nulla. Al contrario, già con l’assunzione di quella prima pillola ha cominciato a stare male e, trovandosi in un Centro commerciale, si è recata nel bagno pubblico dove ha espulso l’embrione, la placenta, il sacco amniotico, e ha subito una grave perdita il sangue. In un cesso pubblico: come accadeva cinquant’anni fa quando si andava dalle mammane o si beveva l’infuso di prezzemolo. Uno choc. Il giorno dopo, quando è riuscita a trascinarsi in ambulatorio per la seconda pillola, ha raccontato tutto quanto le era accaduto e avrebbe voluto evitare di assumere il misoprostolo, ma la seconda pillola le è stata imposta, senza fornirle particolari informazioni o farle esami o una ecografia, ma liquidandola dicendole che, forse, avrebbe sentito un po’ di dolore, nel qual caso bastava del paracetamolo. La donna, tornata a casa, ha cominciato ad avere le contrazioni come fosse al momento del parto ed è stata malissimo, tanto da rotolarsi bocconi a terra. Sola, tra dolori atroci e spaventata. Questa la sua esperienza. Un’esperienza condivisa da molte altre, che non vogliono (per vergogna, per pudore o perché convinte di essere le uniche) denunciare uno Stato che, invece di garantire un diritto con un intervento sicuro, efficace e non doloroso, ha preferito ricorrere a un mezzo chimico che sarà anche utile a far risparmiare soldi alle assicurazioni sanitarie statunitensi e al Servizio sanitario italiano ma, ancora una volta, incide profondamente sulla psiche e il fisico delle donne – le quali devono sopportare le medesime conseguenze di un aborto spontaneo senza alcun supporto (2).

E ora veniamo allo studio pubblicato recentemente, che comprova le testimonianze anche da noi raccolte, intitolato The Abortion Pill Harms Women: Insurance Data Reveals One in Ten Patients Experiences a Serious Adverse Event (3).
Su 865.727 donne, lo studio pubblicato a fine aprile 2025, ha evidenziato che il “10,93% sperimenta sepsi, infezioni, emorragie, o altri eventi avversi gravi entro 45 giorni dall’aborto con mifepristone. Il tasso nel mondo reale di eventi avversi seri dopo l’assunzione di mifepristone per abortire è almeno 22 volte più elevato dei dati riportati dagli esperimenti clinici e riportati sul foglietto illustrativo pari a «meno dello 0,5%»”. Va tenuto conto che i dati sugli effetti avversi, riscontrati dal produttore e dalla FDA (4) si basavano solo su 10 studi clinici (mai più ripetuti negli anni), che avevano totalizzato un numero di partecipanti pari a 30.966 donne.
Se è vero che negli States sono invalsi modi sempre meno sicuri di assumere la RSU486 che, all’inizio, doveva essere somministrata solamente entro il 49° giorno di gravidanza, anche l’Agenzia Italiana del Farmaco (come da suo sito ufficiale) comunica che è stata pubblicata la determinazione AIFA n. 865/2020 di Modifica delle modalità di impiego del medicinale Mifegyne a base di mifepristone (RU486) (Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 203 del 14-08-2020): “Con questa determinazione sono state rimosse le limitazioni nell’uso del Mifegyne che erano state introdotte nel 2009, al momento dell’approvazione del farmaco in Italia. In linea con le indicazioni approvate a livello europeo, è ora consentito l’utilizzo, in associazione sequenziale con un analogo delle prostaglandine, fino al 63° giorno di età gestazionale. È stato anche rimosso il vincolo che imponeva il ricovero «dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento»” (5). E difatti, le donne italiane, oggi si trovano a subire le conseguenze di un aborto spontaneo, da sole: in un Centro commerciale, a casa propria o, magari, in mezzo alla strada. E il 63° giorno equivale a essere entrate nel terzo mese di gravidanza.

Anche uno studio britannico (6) al quale, su 11. 906 donne, hanno deciso di partecipare 1.596 pazienti, completando il questionario loro proposto, ha evidenziato la gravità dei dolori sopportati e la faciloneria con la quale erano stati loro descritti dal personale sanitario: paragonabili a quelli del ciclo mestruale. Ma come si può fingere che l’espulsione di un embrione con relativo sacco amniotico e placenta, dopo una serie di contrazioni (che possono durare ore) sia paragonabile al male che le donne sperimentano, a volte, e che curano con un antidolorifico generico? Solo un uomo o una persona sadica potrebbe sottostimare a questo punto ciò a cui andranno incontro le donne.
E soprattutto, non avvertirle che potrebbero avere bisogno anche di un ricovero e di una trasfusione a causa di un’emorragia non depone a favore della classe medica di alcun Paese che abbia approvato tale uso della RSU486.
Chiudiamo con due righe sul metodo Karman. Si pratica in day-hospital, dura al massimo un quarto d’ora e generalmente la donna subisce una leggera sedazione. L’embrione è aspirato e questo preserva i tessuti (a differenza del raschiamento). La donna, all’interno di una struttura sanitaria, è protetta da eventuali complicanze ed essendo stata sedata non avrà ricordo dell’intervento stesso. Una pratica sicura, efficace e psicologicamente attenta alla donna. Ma, ovviamente, più costosa, richiedendo personale medico specializzato e una sala operatoria, oltre che più difficile da praticarsi in Paesi come l’Italia che, ancora nel 2021, ‘vantavano’ di avere il 63,4% dei ginecologi, il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico obiettori di coscienza. I quali, ribadiamo e non ci stancheremo mai di sottolinearlo, hanno tutto il diritto di rivendicare tale scelta, ma non di essere assunti in ospedali pubblici che devono prima di tutto garantire ogni prestazione legale ai e alle pazienti.
(1) https://nonunadimeno.wordpress.com/2020/06/10/la-pillola-ru486-e-ancora-un-taboo-perche-laborto-farmacologico-fa-cosi-paura/
(2) Come funziona la RSU486: la prima pillola “ha come principio attivo l’anti-progesterone vero e proprio (RU486 o mifepristone, 600 mg), e si prende subito, per via orale; la seconda contiene una prostaglandina (misoprostolo, 400 mg) che, assunta per via orale o vaginale 24-48 ore dopo, stimola ulteriormente le contrazioni uterine, provocando l’espulsione dei tessuti embrionali. Tre i risultati, speculari e opposti alle funzioni che il progesterone svolgerebbe in condizioni normali: – l’endometrio non viene modificato, e quindi non diventa un terreno fertile per accogliere l’ovulo fecondato; – l’utero non si rilassa, e inizia anzi a contrarsi per espellere un corpo che ormai ritiene ‘estraneo’; – i vasi sanguigni non aumentano di numero e di capacità nutritiva e, anzi, si chiudono. Tutto ciò blocca la crescita del sacco embrionale, ne determina il distacco ‘a stampo’ (ossia tutto insieme: sacco amniotico, embrione, liquido amniotico, iniziale placenta) dalla parete dell’utero, e la successiva espulsione come avviene nell’aborto spontaneo. L’esito del trattamento – ossia la completa espulsione del sacco embrionale – viene verificato con un’ecografia 14 giorni dopo il trattamento” – da https://www.alessandragraziottin.it/it/div_scheda.php/Aborto-farmacologico-come-funziona-la-RU486?ID=6852
(3) Lo studio completo: https://eppc.org/stop-harming-women/
(4) La Food and Drug Administration è l’agenzia governativa statunitense che regolamenta i prodotti alimentari, farmaceutici, cosmetici e dispositivi medici
(5) Le nuove linee guida dell’Aifa: https://www.aifa.gov.it/-/modifica-delle-modalita-di-impiego-del-medicinale-mifegyne-a-base-di-mifepristone-ru486-
(6) Lo studio britannico: https://srh.bmj.com/content/51/2/137
venerdì, 4 luglio 2025
In copertina: Foto di Fernando Zhiminaicela da Pixabay; nel pezzo, grafici dello studio The Abortion Pill Harms Women: Insurance Data Reveals One in Ten Patients Experiences a Serious Adverse Event, che si riferiscono ovviamente alla situazione statunitense