Perché non Netanyahu, invece della Machado?
di Simona Maria Frigerio
Benjamin Netanyahu non ha appena firmato un cessate il fuoco per salvare gli ultimi ebrei israeliani nelle mani di Hamas, riportarli a casa e avviare un nuovo processo di pace? Sicuramente i media sionisti stanno rilanciando così la notizia di questi giorni, che vede un Primo Ministro e il suo Governo – macchiatisi di crimini di guerra e intenti a un genocidio in nome di una presunta terra promessa e superiorità razziale – costretti al tavolo delle trattative perché l’annientamento di un intero popolo (quello palestinese) è impossibile, come aveva dimostrato Hitler con quello ebraico.
E però, reductio ad absurdum permettendo, il popolo di Gaza non potrebbe pretendere per Netanyahu il Nobel per la Pace invece di un nuovo Tribunale di Norimberga, visto che non è riuscito ad annientarli (abbastanza velocemente e sempre che non ci riprovi in un prossimo futuro)? Scherzi a parte, Abdullah Öcalan è il politico, ideologo e statista al quale sarebbe dovuto essere assegnato il Premio Nobel per la Pace, avendo chiesto il disarmo del Pkk. Purtroppo supponiamo che le ragioni del suo gesto non siano state gradite. Ovvero, Öcalan non ha voluto lo scioglimento del movimento armato curdo in quanto rinnega i suoi principi, non è un pentito (diremmo in Italia), bensì ha compreso che i movimenti curdi (e il Pkk in particolare, che nasceva in un mondo diviso in blocchi, con una chiara visione politica comunista) si sono ormai trasformati nella manovalanza statunitense nel Medio e Vicino Oriente.
Quindi, il Nobel – invece che a un Premier machiavellico (per assurdo), nel suo restare al timone di uno Stato moralmente screditato; o (per merito) a uno statista che ha riconosciuto la fine di un processo storico e ha chiesto la riconciliazione tra curdi e turchi e la fine della lotta armata – è andato a María Corina Machado, leader di quella opposizione compradora e capitalistica che, non riuscendo a farsi eleggere democraticamente, adesso chiede a gran voce che un Paese straniero (si legga: gli States di Trump) invada il proprio, dove si sono tenute regolari elezioni che hanno confermato il mandato al Presidente Maduro, così da prendere con la forza ciò che non ha ottenuto di diritto.
Ancora più sconcertanti le motivazioni: “Per il suo instancabile lavoro a favore dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la sua lotta per ottenere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”. Quale democrazia? Quella che vogliono Stati Uniti ed Europa, ovvero la libertà per le loro multinazionali fameliche di appropriarsi del petrolio e delle ricchezze del Venezuela, restringendo ancora di più i diritti e le garanzie per la popolazione – come sta accadendo nel fulgido esempio dell’Argentina di Milei?
Machado, a parte essere sionista e appartenere alla destra estrema, quali altre caratteristiche avrebbe per meritare così tanto dalle élite sempre neocolonialiste del Vecchio Mondo? Ovviamente essere in linea con i nostri obiettivi economici predatori. Noi siamo europei, portatori di valori e visioni a qualunque costo, e il rispetto per ideologie o modi di vita diversi non ci partiene: basti pensare all’innamoramento per Jeanine Áñez Chávez, condannata in Bolivia a 10 anni di carcere a seguito del golpe contro Evo Morales e la successiva repressione, in cui morirono 36 persone.
Purtroppo non siamo più negli anni di Lê Ðức Thọ il quale, coerentemente coi suoi ideali comunisti, rifiutò un premio borghese – mentre lo accettò Kissinger, il quale, sappiamo tutti fu maestro di realpolitik e non certo uomo di pace. Ma in questi ultimi anni si può dire che il Nobel per la Pace sia stato assegnato a chi meno ne avrebbe avuto diritto. Pensiamo a Barack Obama – che lo ottenne sulla fiducia e, poi, non solamente si macchiò della guerra in Libia ma anche degli assassini di civili coi droni (1). Michail Sergeevič Gorbačëv fu il picconatore dell’Unione Sovietica – e non si capisce perché questo per qualcuno potesse essere sinonimo di pace (difatti, dai primi anni 90, le guerre neoimperaliste occidentali sono dilagate). Aung San Suu Kyi si è rivelata una pessima donna politica quando è giunta al potere, proseguendo con la politica di non riconoscimento della minoranza Rohingya. Tacciamo sul premio congiunto ad Arafat, Rabin e Peres; ma cosa dire della guerrafondaia UE insignita del Premio in quanto “per oltre sei decenni ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”? La Jugoslavia era un Paese extra europeo? Mentre, ovviamente, bombardare Iraq, Afghanistan o Libia sarebbe accettabile? Infine, per quanto riguarda il Centro per le libertà civili ucraino, insignito nel 2022, forse dovrebbero essere gli abitanti delle Repubbliche di Lugansk e Donetsk a raccontare qual era la loro condizione sotto il Governo di Kyiv dopo il golpe di piazza Majdan.
Nel 1964 come oggi, più che ricevere un Premio Nobel ha senso rifiutarlo, come fece Sartre con quello della Letteratura: “La sola lotta attualmente possibile sul fronte della cultura è quella per la coesistenza pacifica delle due culture, dell’est e dell’ovest. Il confronto tra queste due culture deve aver luogo tra gli uomini e tra le culture, senza l’intervento delle istituzioni” – almeno fino a quando le isituzioni internazionali, che dovrebbero essere espressione di 8 miliardi di persone, continueranno a essere controllate solo dal miliardo d’oro.
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venerdì, 17 ottobre 2025
In copertina: Machado al World Economic Forum, foto di Bel Pedrosa (CC BY-SA 2.0)

