I venti punti per riportare a casa gli ostaggi e ricolonizzare la Palestina
di Simona Maria Frigerio
Sappiamo tutti che due membri del think tank dell’ex Premier britannico, il Tony Blair Institute for Global Change (TBI), hanno partecipato allo sviluppo del progetto della Trump Riviera (1); e sappiamo altresì che gli anglo-statunitensi quando si muovono congiuntamente lo fanno sempre con intenti neo-colonialisti e per depredare risorse o sconfiggere regimi che considerano ‘nemici’ – ma sono semplicemente non allineati con le loro posizioni o non sufficientemente proni ai loro diktat (dall’Iraq alla Libia, la storia non mente).
Oggi, come ricorda Ilan Pappé in un’intervista rilasciata a L’Espresso (2) la soluzione dei Due Stati si riduce a “una diversa forma di occupazione”: solo le élite internazionali continuano a blaterare di ciò che è letteralmente impraticabile. Perché? In primis, perché sui Territori Occupati vivono ormai centinaia di migliaia di colonizzatori ebrei israeliani; e secondo, perché nei Piani di Pace si concederebbe ai palestinesi solamente il 20% delle loro terre invece del 44% stabilito nel 1948 dall’Onu. E quest’ultima percentuale sarebbe stata comunque un regalo alla futura Israele in quanto, nel 1947, nella Palestina sotto Mandato britannico si stima vivessero solo 600mila ebrei a fronte di 1milione 200mila arabi. Da qui la necessità di realizzare il Piano Dalet (3), ossia la deportazione forzata (o pulizia etnica) operata dagli ebrei nei confronti degli arabi (la Nakba) e anche della minoranza cristiana.
Infine, come ha affermato il Commissario delle Nazioni Unite, Navi Pillay, non solamente vi è il problema dell’esclusione dei palestinesi dalla governance durante il cosiddetto periodo di transizione (che non si sa quanto dovrebbe durare e chissà perché dovrebbe essere gestito dagli anglo-statunitensi), ma restano le conclusioni dell’ONU che Israele è responsabile di genocidio. Per questo, i suoi ministri e il Premier Netanyahu dovrebbero essere giudicati di fronte a un Tribunale internazionale e non continuare a stringere mani e a sorridere per le telecamere e l’opinione pubblica israeliana che, l’anno prossimo, tornerà alle urne.
Per tutte queste ragioni ha senso capire cosa prevedono esattamente i famosi venti punti del cosiddetto Accordo, stilato dal Presidente US, Donald Trump.
Il sarcasmo è d’obbligo
Il primo punto stabilisce che “Gaza sarà deradicalizzata e diventerà una zona libera dal terrorismo in modo tale che non sia più una minaccia per i suoi vicini”. Ma Israele non è forse una minaccia per Libano, Siria o Iran? E chi si prenderà la briga di ‘liberare’ Gaza dai cosiddetti terroristi? Già il termine terrorista per definire coloro che militano nella Resistenza palestinese ci pone seri dubbi, ma sappiamo bene come agiscono gli States quando proclamano la ‘guerra al terrore’: gli afghani ringraziano ancora gli Us per il loro impegno a ‘liberarli dai talebani’ (sic!).
Il secondo punto afferma che “Gaza sarà ricostruita a beneficio del suo popolo, che ha sofferto più che abbastanza”. E chi pagherà? Visto che l’Occidente continua a blaterare che la ricostruzione dell’Ucraina spetta alla Russia, ci aspettiamo miliardi di dollari da Israele (salvo scoprire l’acqua calda, ossia che Israele può vantare il Pil della Lombardia, 4).
I tre punti successivi riguardano il cessate il fuoco, il ritorno degli ostaggi ebrei in Israele e il rilascio di 250 palestinesi condannati all’ergastolo, oltre a 1.700 abitanti di Gaza detenuti a partire dal 7 ottobre 2023, “inclusi tutte le donne e i bambini reclusi in tale contesto” (quindi andremo oltre, salvo sottolineare che la detenzione di un minore in un carcere israeliano non rientra certamente negli standard democratici tanto sbandierati dall’Occidente).
Il sesto punto stabilisce che “quando tutti gli ostaggi saranno restituiti, i membri di Hamas che si impegnano alla pacifica coesistenza e alla restituzione delle proprie armi saranno amnistiati. I membri di Hamas che desiderano lasciare Gaza otterranno un passaggio sicuro per i Paesi disposti ad accoglierli”. Ai colonizzatori ebrei israeliani nei Territori Occupati sono state fatte le medesime richieste? Ossia, pacifica coesistenza coi palestinesi in Cisgiordania e smantellamento del loro arsenale militare?
Il settimo punto è un ‘abominio’ o un banale ‘ricatto’: scegliete voi il termine. Ovvero, solo dopo l’accettazione dell’Accordo, “gli aiuti saranno immediatamente inviati alla Striscia di Gaza. Come minimo, la quantità di aiuti sarà conforme a quanto incluso nell’Accordo del 19 gennaio 2025 per quanto concerne gli aiuti umanitari, tra i quali il ripristino delle infrastrutture (acqua, elettricità, fognature), di ospedali e panetterie, l’accesso dell’equipaggiamento necessario per rimuovere le macerie e riaprire le strade”. Questo significa che Israele, contrariamente alle leggi internazionali, ha bombardato e devastato infrastrutture civili – dagli acquedotti agli ospedali. E significa altresì che, per la prima volta in epoca moderna e in tempo di ‘pace’, abbiamo assistito alla brutalità di un assedio che ha sterminato civili e, soprattutto, bambini.
L’ottavo punto stabilisce che l’accesso e “la distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza procederà senza interferenze delle due parti, attraverso le Nazioni Unite e le sue Agenzie, la Mezzaluna Rossa, oltre ad altre istituzioni internazionali non associate, in alcun modo, alle parti [contrapposte]. L’apertura del valico di Rafah in entrambe le direzioni sarà soggetta allo stesso meccanismo utilizzato nell’Accordo del 19 gennaio 2025”. Ricordiamo che l’Agenzia Onu preposta agli affari palestinesi nei Territori Occupati e negli Stati in cui si trovano i campi profughi, l’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), è oggi messa al bando da Israele e non è più finanziata da alcuni Paesi Occidentali, tra i quali gli Stati Uniti, mentre altri – come il Canada, l’Austria, la Danimarca, la Finlandia, la Svezia, la Germania, la Francia e il Giappone – hanno ripristinato gli aiuti.
Il nono punto è davvero illuminante sulla volontà neo-coloniale dell’Accordo e l’ennesima delegittimazione del popolo palestinese: “Gaza sarà governata temporaneamente da un Comitato di tecnocrati palestinesi apolitici, responsabili di fornire i servizi pubblici quotidiani alla popolazione e alle municipalità palestinesi. Questo Comitato sarà formato da palestinesi qualificati ed esperti internazionali, con la supervisione di un nuovo Organismo internazionale transitorio, il ‘Board of Peace’, diretto e presieduto dal Presidente Donald J. Trump, con altri membri e Capi di Stato che saranno annunciati, incluso il precedente Primo Ministro Tony Blair. Quest’Organismo definirà il quadro di riferimento e gestirà i fondi per lo sviluppo di Gaza fino a quando l’Autorità Palestinese non avrà completato il suo programma di riforme, come delineato in diverse proposte, incluso il Piano di Pace del Presidente Trump del 2020 e la proposta franco-saudita, e potrà riprendere in mano il controllo di Gaza effettivamente e in maniera sicura. Quest’Organismo vanterà i migliori standard internazionali per creare una governance moderna ed efficiente per servire gli interessi della popolazione di Gaza e sarà propizio per attrarre investimenti”. In pratica, si nega l’autodeterminazione del popolo di Gaza sulla propria Striscia di terra; si decide che la cosiddetta Autorità Palestinese (totalmente delegittimata anche perché non indice elezioni da troppo tempo per tema di perdere) dovrà essere riformata (non si sa su quali basi) e, comunque, non dovrà andare alle urne; gli anglo-statunitensi con una mossa razzista e neo-colonialista si arrogano il diritto di decidere per un popolo, che non è nemmeno invitato al tavolo delle trattative (del resto, gli israeliani hanno disumanizzato i palestinesi per decenni); Trump e Blair, ovvero le multinazionali dei rispettivi Paesi, pensano di mettere le mani sui fondi per la ricostruzione (che, probabilmente, dovranno essere arabi o di Paesi islamici); e infine, sarà l’Occidente a ridisegnare Gaza su un modello che il capitalismo transnazionale conosce bene: la Palestina sarà una provincia dell’Impero e noi ci approprieremo delle sue risorse umane ed energetiche (si traduca: il gas offshore, 5).
La settimana prossima i successivi 11 punti (sempre che la tregua, costruita su queste sabbie mobili, regga tanto a lungo)
(1) https://www.inthenet.eu/2025/09/26/tony-blair-oltre-la-riviera-di-gaza/
(2) L’illuminante intervista a Ilan Pappé: lespresso.it/c/mondo/2025/9/29/intervista-esclusiva-ilan-pappe-sionismo-israele/57099
(3) Si legga, dello storico Walīd Khālidī, Plan dalet: The Zionist Master Plan for the conquest of Palestine (1961)
(4) https://www.inthenet.eu/2025/08/08/israele-e-davvero-un-paese-ricco-o-ha-chi-lo-finanzia/
(5) https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/10/09/bacino-levante-gaza-risorse-offshore-news/8150578
venerdì, 17 ottobre 2025
In copertina: Immagine di Kalhh da Pixabay

