Uno studio conferma la diminuzione del potere di acquisto e la crisi del sistema produttivo
di Federico Giusti
Da un recente studio (1) si evince che gli stipendi medi italiani sono in continua discesa nei 30 Paesi dell’OCSE – e trattasi di dati “corretti per la parità di potere d’acquisto (PPP)”. Le statistiche tengono quindi conto delle differenze tra i Paesi sia rispetto al costo della vita che all’inflazione.
Negli ultimi quarant’anni i salari italiani hanno perso potere di acquisto e, a confronto con gli altri Saesi OCSE, risultano in continua regressione. Le cifre vanno ponderate bene perché in numerosi Paesi il costo della vita è decisamente maggiore rispetto all’area mediterranea e occorre guardare ai salari reali. Ma se leggiamo con attenzione, tenendo conto della differente inflazione e del costo della vita, la perdita di posizioni dei salari italiani è evidente. Negli ultimi dieci anni la busta paga degli italiani ha perso in media 5.000 euro ma, al contempo, sono cresciute le disuguaglianze e le perdite del potere di acquisto riguardano, per lo più, i redditi medio-bassi.
1,6 milioni di italiani presentano un reddito annuo lordo superiore a 60.000 euro ma sono ben 22,7 milioni quelli inferiori ai 20.000 euro, una cifra non molto superiore alla cosiddetta soglia di povertà specie se in presenza di famiglie monoreddito e con figli a carico. In grande sofferenza sono proprio le famiglie numerose ma anche i milioni di lavoratori dipendenti da cooperative e ditte in appalto e subappalto; segnali preoccupanti arrivano perfino dal Pubblico impiego, in particolare dagli Enti locali – tradizionale fanalino di coda, quanto a retribuzioni, della PA.
Su 40,5 milioni di contribuenti, il 4% dichiara più di 2.850 euro netti al mese, mentre il 56% dichiara meno di 1.300 euro netti al mese. Aumentano, e sono ormai circa 40 mila, i percettori di redditi elevati, quelli che dichiarano un reddito annuo lordo medio superiore a 300.000 euro
La situazione è decisamente peggiorata dopo la pandemia. Secondo Oxfam, nel 2019, il 20% più ricco in Italia deteneva quasi il 70% della ricchezza totale del Paese, mentre il 20% più povero circa l’1,3%. Sono quindi cresciute le disuguaglianze salariali e sociali ma, al contempo, la perdita del potere di acquisto riguarda quasi l’intera platea dei salariati eccezion fatta per la esigua minoranza dei manager e dirigenti.
Le politiche di austerità salariale intraprese per decenni hanno avuto ripercussioni negative soprattutto nei Paesi economicamente più deboli che poi sono quelli dove i salari perdono maggiore potere di acquisto. L’idea che, contenendo le dinamiche salariali e l’inflazione, l’economia italiana potesse uscire dalla sua crisi si è rivelata completamente errata come pensare che i processi di esternalizzazione e privatizzazione avrebbero alla fine aggiunto competitività al sistema produttivo.
Anche le politiche di riduzione delle tasse, gli sgravi fiscali alle imprese e l’abbattimento del cuneo fiscale sono state scelte alla lunga deboli e incapaci tanto di rilanciare il sistema produttivo quanto di salvaguardare i salari degli italiani. Tra i dati eloquenti anche i 5,6 milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà assoluta e un numero assai maggiore ridotto alla povertà relativa con continue privazioni per arrivare in fondo al mese, privazioni che si traducono nella rinuncia a curarsi, a sottoporsi a visite e terapie sanitarie, alla impossibilità di mantenere un figlio agli studi universitari. Il Paese uscito dalla pandemia scopre di essere decisamente più povero e con una perdita sensibile di potere d’acquisto che riguarda ormai non solo i salariati ma anche i pensionati. Mentre le ricette individuate per combattere questa crisi si sono dimostrate fallimentari perché mosse da interessi antitetici a quelli delle classi popolari, che escono dagli anni di austerità con le ossa rotte. E per chiudere, altro aspetto dirimente è dato dalla crescita delle disparità economiche e sociali tra le Regioni: l’arrivo dell’autonomia differenziata andrà acuendo queste disuguaglianze allargando ulteriormente il divario tra l’Italia e i Paesi OCSE.
(1) https://www.visualcapitalist.com/ranked-average-annual-salaries-by-country/ su visualcapitalist.com
venerdì, 31 ottobre 2025
In copertina: Il Logo dell’OCSE

