Protagonista del Florence Dance Festival 2018 la Compagnia junior del Nederlands Dans Theater
di Luciano Uggè
Nella splendida cornice del Chiostro Grande di Santa Maria Novella vanno in scena professionisti dell’arte coreutica che dimostrano come la danza abbia bisogno di tecnica, oltre che di idee, e di tantissime ore di studio e lavoro.
Un chiostro che rimanda a momenti di raccoglimento e quiete, dalle pareti affrescate, è la splendida cornice per l’esibizione fiorentina del Nederlands Dans Theater, che si propone da quarant’anni di formare giovani danzatori – due dei quali, ogni anno, entrano poi a far parte della formazione maggiore, tra le più apprezzate Compagnie di danza contemporanea al mondo. L’esibizione a cui assistiamo è consona all’atmosfera di pacata riflessione sull’esistenza, che si respira a Santa Maria Novella: una prova che si articola su tre temi, molto differenti tra loro, ma che consentono di apprezzare la duttilità dei giovani componenti dell’NDT2. A una capacità tecnica notevole si sommano le doti interpretative, un’espressività sempre precisa e aderente al tema musicale e un’apparente facilità esecutiva dimostrate dall’intero ensemble.
Out of Breath, coreografia di Johan Inger su musiche di Jacob ter Veldhuis e Lajko Felix, è il racconto di momenti drammatici vissuti in prima persona dal coreografo, il quale – quasi a volersene liberare, sublimandoli nell’arte – li porta sul palcoscenico in un’esecuzione intensa e sofferta, soprattutto nella parte iniziale, laddove la danzatrice appare quasi adagiarsi sulle note musicali.
La struttura posizionata al centro della scena – forse motivo dell’inversione nell’esecuzione dei pezzi rispetto alla brochure – diventa luogo di incontri; nascondiglio per i momenti più intimi; muro al quale reggersi nelle situazioni di tensione; spazio entro cui arrendersi, come in un utero materno, al fato; ma anche scivolo – quasi pista da skateboard – per i tentativi di fuga o di dimenticare e superare il presente che, però, si ripresenta nella parte finale della composizione.
Ai passi a due, nei rimandi a una conoscenza più intima, si alternano movimenti dell’intero ensemble più complessi ma sempre significativi. La musica scandisce i passaggi dai cupi attimi iniziali a quelli più leggeri, della sezione centrale, sempre ben assecondata da danzatrici e danzatori, e sottolineata dall’uso sapiente delle luci – sempre apprezzabili per l’intera serata.
Forse dotata di minor pathos ma valorizzata da un lavoro più d’insieme, l’esecuzione di Wir Sagen uns Dunkles di Marco Goecke. Un connubio, quello tra coreografo e danzatori, che – visto il risultato – appare possibile anche grazie alla mescolanza tra la musica rock con influenze elettroniche dei Placebo e quella classica di Franz Schubert e Alfred Schnittke – a conferma dell’unicità artistica nelle sue varie forme.
I costumi, con frange sottili, rendono i movimenti d’insieme ancora più coreografici accentuandone la percezione uditiva: al pubblico sembra quasi di sentirli frusciare nell’aria.
In scena si srotola il racconto di una serie di incontri e amori, nei passi a due, intercalati da azioni di gruppo complesse e sempre ben eseguite. Le entrate e le uscite si alternano in modo eccezionalmente naturale e discreto, utilizzando i veli che fanno da sfondo neutro al palcoscenico. Allo stesso modo, l’alternanza dei brani musicali – contemporanei e classici – crea un clima di coinvolgimento che supera i generi per fondersi con l’azione in mirabile conseguenza.
Ultimo pezzo della serata, Sad Case – di Sol León e Paul Lightfoot – un mix di ritmi del secondo Novecento. Una visione del mondo latinoamericano – soprattutto messicano – scanzonata e irriverente, lontana dagli stereotipi usuali, con un disegno luci che arriva persino a disegnare sul palco un rettangolo che si trasformerà – grazie alla mimica dei danzatori – in pollaio. I costumi – su una tinta neutra, tendente al grigio – sembrano quasi tatuati sui corpi. I ritmi si susseguono ben assecondati dall’intero ensamble, che si esibisce anche in passi a solo o a due. Brevi ma incisivi i vari passaggi, che si alternano senza soluzione di continuità tra salsa e mambo.
Si legge in controluce la canzonatura leggera, a tratti irriverente, di quei luoghi comuni – rappresentativi di un popolo – ai quali i media ci hanno purtroppo abituati. Una conclusione di serata che rende l’intera esibizione ancora più affascinante e perfino sottilmente corrosiva. Uno spettacolo che spazia tra tematiche profondamente umane, utilizzando una moltitudine di forme, passi e prese, proponendo momenti sempre diversi, eppure amalgamati in quella danza contemporanea che è ancora in grado di coniugare tecnica ed emozioni.
Pubblicato (con minime modifiche) su Artalks.net, il 7 luglio 2018
In copertina: Sad Case. Foto di Rahl Rezvani (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Festival).