di Lucia Mazzilli
La rete, non finiremo mai di ripeterlo, è un infinito oceano di sorprese e chi ama “navigare” non può che, saltuariamente, infilarsi in correnti di elettrizzante stupore. Se siamo a caccia di sorprese, un buon punto di partenza è Internet Archive (Archive.org), biblioteca digitale no profit, nata nel 1996 con sede a San Francisco, che raccoglie libri, audiobook, video, film, immagini con lo scopo di offrire gratuitamente un “accesso universale alla conoscenza”. Ed è qui che, insieme a una moltitudine infinita di materiali, è possibile scaricare in PDF il volume che andiamo a presentare e che porta il titolo Curious creatures in zoology (https://archive.org/details/curiouscreatures00ashtiala/page/52/mode/2up). L’autore è John Ashton (1834–1911) scrittore di folclore e scienze sociali e storico. Di lui si conosce poco e la rete non ci viene in aiuto se non per un lungo post della storica Kathryn Kane sul blog The Regency Redingote (https://regencyredingote.wordpress.com/2011/07/29/a-sad-centenary-the-passing-of-john-ashton/).
L’opera, uscita per la prima volta nel 1890 con la casa editrice di Londra John C. Nimmo, oltre a essere decorata con miniature nello stile dell’epoca, raccoglie 130 illustrazioni a dir poco spettacolari. L’obiettivo dello scritto è presentato dall’autore nell’introduzione: raccogliere resoconti di viaggiatori di tutti i tempi che descrivono le creature più curiose del mondo. Ashton mette subito in guardia il suo lettore: “I viaggiatori vedono cose strane, soprattutto quando la loro scrittura, o la loro descrizione, non è messa al microscopio dell’esame scientifico moderno. I nostri antenati si accontentavano di ciò che gli veniva dato, ed essendo, di regola, una razza casalinga, non potevano confutare le storie che leggevano nei libri. Quell’epoca di fede deve aver avuto i suoi lati positivi, poiché nessuno poteva negare la verità di ciò che gli veniva detto. Ma ora che il viaggio moderno ha soggiogato il globo, e curiosi stranieri hanno ficcato il naso in ogni parte del mondo, il vecchio ordine cambia, cedendo il posto al nuovo e, a poco a poco, le vecchie storie vengono dimenticate. … Non è dato a tutti di poter consultare i vecchi Naturalisti. Inoltre, la maggior parte di loro hanno scritto in latino e leggerli a fondo è opera parzialmente utile, poiché hanno copiato in gran parte l’uno dall’altro…”. E più avanti il concetto del “copiaeincolla” è reso ancora più esplicito “Tutti i vecchi naturalisti copiavano gli uni dagli altri, e così hanno compilato i loro scritti. Plinio ha preso spunto da Aristotele, altri citano Plinio, e così via; ma solo con l’età della stampa i loro scritti sono diventati a disposizione di molti, nonché le rappresentazioni delle creature descritte con immagini (“i libri degli ignoranti”), che aggiungono così tanto sapore al testo…”.
Addentrandoci nelle 348 pagine di questo volume; abbiamo scelto di presentare alcuni di queste creature, ma possiamo assicurare che il volume merita di essere letto o magari solo sfogliato nella sua interezza. Entriamo nel dettaglio.
Ciclopi o minatori?
Intorno a pagina 7 si parla di Ciclopi. Ashton riferisce che Plinio collocava i Ciclopi “al centro della Terra”, in Sicilia. E probabilmente, prosegue lo scrittore ottocentesco, esistevano davvero, ma erano minatori e l’unico grande occhio altro non era che la lanterna bloccata sul cappuccio della blusa che indossavano. Erodoto, sebbene sia stato battezzato “ il padre delle bugie”, racconta di una tribù di ciclopi che abitava un paese della Meozia, sul Mar Nero al confine tra Ucraina e Russia… L’illustrazione che accompagna queste pagine è attribuita a John Sluper, che scrisse nel 1572.
Irsutismo, ipertricosi, sindrome di Ambras, detta anche sindrome del lupo mannaro
A pagina 48 si parla dell’“estrema pelosità negli esseri umani”. Ashton sottolinea che tale circostanza non è affatto singolare, e diversi casi sono stati registrati nei libri di medicina. Cita la ballerina spagnola, Julia Pastrana, che aveva una fitta barba e il corpo interamente coperto di peli, cita anche il caso di un’intera famiglia di Londra con il volto coperto da fitta e lunga peluria e riferisce della Puella pilosa, o Hairy Girl descritta da Ulisse Aldrovandi nella sua opera “Monstrorum Historia”.
Oggi sappiamo che esistono patologie che comportano la crescita eccessiva di peli corporei. L’irsutismo è la crescita eccessiva di peli fitti e spessi sul corpo femminile in alcune zone tipicamente maschili come barba e baffi. Tra le cause un’eccessiva produzione di androgeni da parte delle ovaie o delle ghiandole surrenali, la policistosi ovarica, la Sindrome di Cushing (livelli di cortisolo elevati), l’iperplasia surrenalica congenita, alcune neoplasie ovariche, l’uso di alcuni farmaci. Per informazioni dettagliate: https://www.humanitas.it/malattie/irsutismo/
L’ipertricosi è caratterizzata da un aumento della quantità di peli cresciuti in qualsiasi parte del corpo e può essere generalizzata o localizzata, può essere congenita o acquisita nel corso della vita. Tra le cause dell’ipertricosi acquisita c’è l’iponutrizione, fenomeno diffuso in tempi antichi tra le classi meno abbienti. La sindrome di Ambras è rara forma di ipertricosi congenita: il corpo è interamente coperto di peli. Non è una malattia pericolosa sotto il profilo della salute fisica, ma è devastante sotto quello psicologico. Viene anche chiamata “sindrome del lupo mannaro”.
La Puella pilosa descritta dall’entomologo bolognese Ulisse Aldrovandi era presumibilmente affetta da sindrome di Ambras. Così riporta Ashton “… Aveva dodici anni e veniva dalle Isole Canarie, insieme a suo padre (di 40 anni), suo fratello (di 20 anni) e sua sorella (di 8 anni), tutti pelosi l’uno come l’altro…”. Una curiosità: Ferdinando II d’Austria nel XVI secolo all’interno del suo castello di Ambras, presso Innsbruck, dedicò una stanza per ospitare ritratti e oggetti stravaganti, vere e proprie eccentricità e bizzarrie naturali e scientifiche. Appellò infatti questa stanza “Camera dell’arte e delle curiosità”. Tra le opere appese alle pareti i ritratti della famiglia Gonzales (questo il cognome reale della famiglia della Puella Pilosa”). Dal nome del castello, il nome della patologia.
Julia Pastrana, una storia da non dimenticare
Julia Pastrana, nata a Sinaloa, in Messico, nel 1834, era affetta da ipertricosi generalizzata congenita, patologia causata da una alterazione genetica presente sul cromosoma X, spesso accompagnata da alterazioni della morfologia del viso, prognatismo (osso mascellare sporgente), dentatura anomala e altre problematiche.
Questo bagaglio di disfunzioni non ostacolò Julia nell’apprendimento. Trasferitasi negli Stati Uniti, lavorò come artista ballando e cantando in teatri e circhi, esibita come “mostro raro”.
Viaggiò anche in Europa e, a Londra, quando aveva vent’anni, la sua vita cambiò con l’incontro di Theodore Lent, che la acquistò per poter sfruttare il business della ‘Donna scimmia’ o ‘Donna orso’, o ‘Signora Babbuino’, come alternativamente veniva appellata nel corso degli spettacoli.
Pochi anni dopo i due si sposarono e Julia girò il mondo tra un’esibizione e l’altra, imparando le lingue. Il marito l’accompagnava in qualità di manager facendola anche esaminare da diversi medici.
Le diagnosi dell’epoca ci lasciano oggi basiti: c’era chi ipotizzava che Julia fosse nata da un accoppiamento tra una donna e un orango, chi avanzava l’idea che appartenesse a una specie differente da quella umana, chi, più sensatamente, parlava di una forma di malformazione congenita. Anche Charles Darwin si occupò di Julia e, nel saggio La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico (1868), così scrisse: “Julia Pastrana, una danzatrice spagnola, era una donna rimarchevole, ma aveva una fitta barba mascolina e una fronte pelosa; […] ma quello che ci interessa è che in entrambe le mascelle, inferiore e superiore, aveva una doppia fila di denti, una dentro all’altra, di cui il Dr. Purland ottenne un calco in gesso. A causa dei denti in sovrannumero, la sua bocca sporgeva in fuori, e la sua faccia assomigliava a quella di un gorilla”.
Nel 1859 Julia rimase incinta e, nel corso di una tournée in Russia, fu ricoverata in ospedale a Mosca. Il marito, per non perdere occasioni, trasformò il parto in uno spettacolo facendo pagare il biglietto per assistervi.
Il bambino nacque con la stessa patologia della madre e visse solo due giorni e anche Julia morì per complicazioni del parto dopo cinque giorni, il 26 marzo del 1860.
Theodore Lent non aveva però nessuna intenzione di chiudere il suo fortunato business: di corsa fece imbalsamare madre e figlio e continuò a viaggiare tra un circo e l’altro esponendoli in una teca di vetro!
Si racconta anche che Lent riuscì a conoscere un’altra donna con la stessa patologia, donna alla quale riservò destino simile a quello di Julia. La nuova conquista da esibire veniva presentata con il nome Zenora Pastrana.
La triste storia di Julia non finì con la sua morte, il suo corpo e quello del suo bambino vennero acquistati da diversi “imprenditori”, sempre con lo scopo di esibirli, ad un certo punto non se ne ebbe più notizia e riapparvero solo nel 1921 in Norvegia e per altri 50 anni circa vennero nuovamente sfruttati in manifestazioni e spettacoli in giro per il mondo. Solo a seguito di una protesta e dopo una lunga trafila burocratica, nel 2013, Julia fu finalmente sepolta in Messico non lontana dal suo luogo di nascita.
Nel 1964 Marco Ferreri prese spunto dalla vicenda di Julia Pastrana per realizzare il film La donna scimmia, interpretato da Annie Girardot (nelle vesti di Julia) e da Ugo Tognazzi (nelle vesti del marito Theodore Lent). I personaggi nel film si chiamano Maria e Antonio Focaccia e la storia è ambientata a Napoli. La sceneggiatura e il soggetto sono di Rafael Azcona Fernández, con il quale Ferreri ha spesso collaborato. La produzione è di Carlo Ponti. Come in altri film di Ferreri, l’estetica del grottesco raggiunge raffinati risultati stilistici e la storia della donna scimmia riesce, al di là del registro dell’ironia, a commuoverci e farci pensare e la commedia e il dramma si intersecano in una lucida poesia. Anche in questo film al centro della poetica del regista italiano e dello sceneggiatore spagnolo c’è la critica al consumismo e al perbenismo borghese e, più in generale, a una classe sociale incapace di accogliere il diverso, a una ‘cultura’ inconsapevole delle proprie patologie e degenerazioni comportamentali, quale la spettacolarizzazione morbosa e voyeuristica del corpo di una donna malata. Il ruolo di Tognazzi, patetico imprenditore che vive di espedienti e che veste gli abiti di un esploratore per presentare al pubblico la donna scimmia, è convincente e l’interpretazione di Annie Girardot è particolarmente riuscita. Come scrisse Alberto Moravia su L’Espresso “(il film) è la vicenda di due mostri, l’uno fisico e l’altro morale… Ferreri ha sentito e s’è identificato con simpatia con i due protagonisti: donde i simboli nonché la vitalità dei due personaggi, specie della donna. Ferreri ha tratteggiato con molta delicatezza la figura del povero mostro, attribuendole i sentimenti d’una donna normale che però proprio dal contrasto con l’anormalità dell’apparenza fisica acquistano uno spicco straordinario e commovente. Anche il marito della donna scimmia, pur con qualche ambiguità di disegno, è un personaggio riuscito…” (Alberto Moravia, “Un mostro innamorato”, in L’Espresso, 9 febbraio 1964).
Molte le critiche e i problemi con la censura, tanto che sono stati previsti ben tre finali. Nel primo il film finisce con la morte di Maria e del suo bambino, nel secondo, come nella realtà della storia, il marito-impresario fa imbalsamare moglie e figlio e prosegue il business della spettacolarizzazione, nel terzo Maria e il suo bambino sopravvivono al parto e la donna perde il pelo.
Il film è stato presentato al XVII Festival di Cannes (1964), ha vinto il premio scrittori di cinema e televisione e, nel 1965, il nastro d’argento per il miglior soggetto originale. Nel 2008 il film è stato selezionato nella lista dei “100 film italiani da salvare”.
Su you tube è possibile vedere diversi spezzoni del film.
“Maschicidi” libici e vampirismo ante litteram
A pagina 77 Ashton riferisce un interessante racconto di Dione (Dione di Prusa detto Dione Crisostomo, o “Bocca d’oro” per la sua abilità oratoria). Strani draghi vivono in alcune zone della Libia: si tratta di animali che hanno il volto di una donna, un volto molto bello e molto grande, e hanno anche il seno di una donna. Non hanno ali, ma sibilano come draghi e corrono più veloci di qualsiasi altro animale e nessuna preda può sfuggire loro. Quando vedono un uomo esibiscono le loro mammelle lo seducono attirandolo con la loro bellezza per poi divorarlo e ucciderlo.
Nella mitologia queste crature sono state chiamate “lamie”, mostri capaci di assumere le sembianze di una donna, alle quali si attribuiva, appunto, la capacità di divorare gli esseri umani ma anche quella di succhire loro il sangue.
Il mostro di Ravenna
Nella carrellata delle strane creature non poteva mancare il mostro di Ravenna che tanto ha colpito l’immaginario collettivo da essere presente in innumerevoli testi antichi e meno antichi. Ashton ne parla a pagina 173 riportando la descrizione di Fortunio Liceti (medico, filosofo e scienziato italiano, 1577-1657) e di Johann Zahn (filosofo, cartografo, scienziato e matematico tedesco, 1641-1707, conosciuto per l’invenzione del suo Oculus Artificialis e per i contributi alla fotografia).
Questi autori parlano di un mostro nato a Ravenna nel 1511 o nel 1512. Aveva un corno in cima alla testa, due ali, era senza braccia e con una sola gamba come quella di un rapace. Aveva un occhio nel ginocchio ed era di entrambi i sessi. Aveva la faccia e il corpo di un uomo, tranne nella parte inferiore, che era coperta di piume…
Sul mostro di Ravenna la letteratura è effettivamente abbondantissima e oltremodo interessante. Come spesso accade, i resoconti non sono perfettamente sovrapponibili uno all’altro, ma presentano varianti. Un dato univoco è quello che questa creatura era frutto di una relazione illecita tra una suora e un monaco e quindi segno di una punizione divina. Altro tema presente in genere nei resoconti è quello del “presagio”: la nascita del mostro era segno di un’imminente disgrazia e, infatti, l’11 aprile del 1512, giorno di Pasqua, nella Battaglia di Ravenna, tra la Lega Santa e la Francia, la città romagnola fu distrutta e depredata dalle truppe francesi.
Alcuni racconti riportano il fatto che, nel corso della battaglia, il mostro di Ravenna se ne andava in giro ridendo sarcasticamente e scompostamente.
In realtà, con ogni probabilità, il neonato nato deforme non sopravvisse molto. Le malformazioni neonatali in passato erano, come si può intuire, un fatto tutt’altro che raro e le possibilità di diagnosi precoci, prevenzioni e terapie, inesistenti. Abbiamo provato, con l’aiuto del Professor Mario Zavanone, a tratteggiare una diagnosi del mostro di Ravenna.
Il mostro di Ravenna: una possibile diagnosi
Intervista al Professor Mario Zavanone
Abbiamo parlato con il Professor Mario Zavanone, neurochirurgo, attualmente consulente presso la Fondazione IRCCS Ca’ Grande Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, per cercare di comprendere quale potevano essere le patologie e malformazioni che affliggevano il cosiddetto Mostro di Ravenna.
Professore, spesso nei racconti antichi le nascite mostruose hanno subito processi di elaborazione fantasiose e trasposizioni parzialmente difformi. Sappiamo bene che le descrizioni dei nostri antenati erano spesso viziate una certa dose di fantasia, un’altra dose di superstizione e dalla volontà di impressionare il pubblico che, come sottolinea anche Ashton, non aveva possibilità di verifica. Nello studio di M.T. Walton et al. per spiegare la presenza di una sola gamba, si parla di sirenomelia, in cosa consiste questa malformazione?
Mario Zavanone: La sirenomelia è una malformazione congenita caratterizzata dalla fusione degli arti inferiori che assumono aspetto della coda della sirena. Frequentemente si presenta associata ad altre malformazioni gastrointestinali, dell’apparato genito-urinario, con alterazioni renali, malformazioni della colonna vertebrale con, a volte, spina bifida spesso associata a idrocefalo.
Quale è la prospettiva di vita in questi casi?
Mario Zavanone: Queste malformazioni conducono ad aborti spontanei e sono quasi sempre incompatibili con la vita extrauterina, tant’è che sono eccezionali le lunghe sopravvivenze. Bisogna però specificare che la sirenomelia, cioè la malformazione degli arti inferiori, può manifestarsi in vari gradi, si va dalla semplice fusione della parte cutanea-muscolare con presenza di strutture ossee ben definite di entrambi gli arti inferiori, che possono pertanto essere separati chirurgicamente, ai casi in cui vi è una struttura ossea unica per entrambi gli arti inferiori con ovviamente i gradi intermedi.
Quali le cause?
Mario Zavanone: Allo stato attuale non sono state individuate cause certe di questa alterazione congenita, sembra che il diabete materno possa essere un fattore facilitante e così pure l’esposizione a metalli pesanti. Tali fattori possono incidere sullo sviluppo anomalo del sistema circolatorio soprattutto a livello dell’aorta discendente con insufficiente apporto nutrizionale allo strato cellulare che andrà a costituire il mesoderma.
Esistono oggi casi di sirenomelia?
Mario Zavanone: Sì, anche attualmente esistono casi di sirenomelia giunti a termine della gravidanza, va detto però che con l’ecografia è possibile una diagnosi precoce e quindi si pone indicazione all’aborto terapeutico. L’incidenza sembra essere di 1 caso ogni 100.000 gravidanze. Vi sono casi riportati in letteratura di sopravvivenze relativamente lunghe, si parla comunque di un massimo di 28 anni, Tiffany Y., alla quale erano stati separati gli arti inferiori, è la ragazza che ha vissuto più a lungo; Milagross C. è sopravvissuta fino a 15 anni ed è poi deceduta per problemi renali e Shiloh P., morta a 10 anni dopo avere subito oltre 150 interventi.
Il mostro di Ravenna viene descritto senza braccia ma con le ali. Quale deformazione poteva suggerire rappresentazione?
Mario Zavanone: È possibile che oltre alla descritta malformazione della parte inferiore del corpo con la “sindrome della sirena”, il mostro di Ravenna avesse anche anomalie di sviluppo degli arti superiori, con focomelia degli stessi magari associata a sindattilia, cioè dita palmate, il che potrebbe essere, con forzatura, descritto come la presenza di ali. Questi abbozzi di arti magari potevano essere anche collegati alla parte superiore del tronco da membrane cutanee che rafforzavano così l’idea delle ali.
Lo si descrive anche di entrambe i sessi…
Mario Zavanone: Si sa che le alterazioni di sviluppo in questi esseri riguardano anche gli apparati viscerali e genito-urinari. I tre casi riportati di “lunga” sopravvivenza erano tutti di sesso femminile apparentemente ben definito, però vi sono casi in cui la situazione dell’apparato genito-urinario non è chiara.
A volte la regione è coperta alla nascita da una membrana cutanea che riveste sia la parte genitale sia quella anale. Per quanto riguarda il riportato ermafroditismo del mostro di Ravenna che potrebbe, in teoria, essere possibile, credo piuttosto a una descrizione fantasiosa atta ad amplificare la mostruosità dell’essere descritto.
Il corno in testa come lo spiega?
Mario Zavanone: Come si è detto a volte questi malformati sono affetti da spina bifida, che è una anomalia localizzata in genere a livello lombo sacrale e che è caratterizzata da mancata chiusura della parte posteriore del canale rachideo con formazione di una bozza cutanea in cui è inglobata la parte inferiore del midollo spinale e le relative radici. A volte vi è una situazione di spina bifida occulta, per cui tale anomalia non è chiaramente evidente ma comunque può coesistere una situazione di idrocefalo, cioè accumulo di liquor intracranico. Se tale liquor è sotto tensione, potrebbe portare alla protusione della cute della fontanella anteriore che può evidenziarsi come un bozzo e che, amplificando, può essere descritto come un corno.
Qualche ipotesi per spiegare l’occhio sul ginocchio?
Mario Zavanone: Per quanto riguarda il mostruoso occhio descritto a livello del ginocchio si potrebbe pensare che in seguito ad alterazioni del trofismo cutaneo conseguenti alle anomalie vascolari descritte in questa sindrome, la cute stessa a livello della regione del ginocchio si sia ulcerata lasciando intravedere l’osso sottostante, magari un abbozzo di rotula che è stata quindi descritta come occhio mostruoso.
E le piume? Pura fantasia o potrebbe esserci qualche ragione scientifica?
Mario Zavanone: Per il fatto che il corpo venga descritto rivestito da piume non vi è alcuna possibile spiegazione a meno che non si ricorra alla fantasia, d’altronde il fatto che il mostro di Ravenna venga descritto con le ali rende più facile immaginare che la fantasia dei nostri avi abbia voluto associare anche le piume.
Per concludere è possibile che sia nato un essere gravemente plurimalformato ma la descrizione ha elaborato ed amplificato le anomalie, tant’è che ad alcune delle caratteristiche descritte si può dare una spiegazione e altre possono essere spiegate con forzature, altre ancora sono inspiegabili.
Mario Zavanone è stato professore associato di Neurochirurgia e direttore della scuola di specializzazione in Neurochirurgia. Attualmente è consulente a titolo gratuito presso l’ospedale Policlinico di Milano.
La sua mail è: Mario. Zavanone @unimi.it
I mostri del mare
In ambito di mostri marini, o, più in generale acquatici, i racconti dei nostri antenati sono a dir poco innumerevoli ed estremamente curiosi. Ashton ne riporta tantissimi. Ne abbiamo isolati un paio.
A pagina 235 si parla del maiale di mare: la descrizione riportata è attribuita a Olaus Magnus (geografo svedese, 1490-1557), il disegno a Conrad Gesner (naturalista svizzero, 1516-1565). …Olaus Magnus, parlando del mostruoso maiale di mare dell’Oceano germanico, avvistato prima nel 1532 poi nel 1537 e catturato sulle rive dell’Inghilterra, riferisce che aveva la testa come quella di un maiale, un quarto di cerchio, una sorta di spicchio di luna, dietro al capo, quattro zampe come quelle di un drago, due occhi su entrambi i fianchi e un altro occhio sulla pancia, inclinato verso l’ombelico e una coda biforcuta, come quella degli altri pesci…
A pagina 213 ci imbattiamo invece nella storia di una sirena. Ashton riporta un racconto a sua volta riportato: … Sir J. Emerson Tennent cita nel suo “Natural History of Ceylon” la descrizione di uno dei cappellani coloniali olandesi, di nome Valentyn, che scrisse un resoconto sulla Natural History of Amboyna. (Arcipelago delle Molucche, Indonesia).
…nell’anno 1404, una sirena, naufragata tra le tempeste venne guidata attraverso una breccia in una diga di Edam, in Olanda. Fu poi catturata viva e portata a Haarlem. Anziane signore olandesi si presero gentilmente cura di lei e, con la loro consueta parsimonia, le insegnarono un’occupazione utile, quella della filatura; convertita al cristianesimo, morì Cattolica romana diversi anni dopo la sua cattura …
Strano destino per una sirena, non riusciamo a condivide la compiacenza del racconto.
E non finisce qui…
Uomini dalla testa di cani, oche con due teste, galli con la coda di serpente, pesci e balene con la testa di leoni, pantere, arieti, e altri animali o di satiri, mostri marini con teste quadrate incastonate di spine e circondate da corna affilate, l’elenco è davvero infinito e il lavoro di documentazione che Ashton ha realizzato è monumentale e sotteso dall’entusiasmo di un ricercatore appassionato.
E nel nostro tempo, nel quale il registro dell’omogeneità conformista prevale su quello di una multiforme diversificazione, sorridiamo, leggendo quest’opera, in una sorta di elogio all’ibrido che allarga gli orizzonti del pensiero.
Sono molti i bestiari che possiamo consultare; questo ci è sembrato particolarmente interessante proprio perché, come riporta Ashton nella premessa “…È per salvare queste storie dall’oblio in cui stavano velocemente cadendo che ho scritto, o meglio, compilato questo libro. Dico compilato, perché mi piace lasciare che gli antichi autori raccontino le loro storie nel loro vecchio stile, piuttosto che parafrasare e usurpare il merito dei loro scritti, come si suol fare al giorno d’oggi…”.
Le immagini della gallery sono state ritoccate e colorate
Venerdì, 22 ottobre 2021
In copertina: L’immagine fantasiosa delle nereidi.