Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
Premessa. Debora Mattiello è un’amica e, come sempre quando assistiamo a studi o spettacoli di artisti che conosciamo, mettiamo le carte in tavola con i nostri lettori. Dopodiché, la nostra visione critica di questo monologo – ancora in divenire – cercherà di essere precisa e onesta così da essere utile sia all’interprete (in questo caso anche autrice) sia allo spettatore che vorrà vedere lo spettacolo finito.
Debora è innanzitutto un’eccellente autrice con una profonda cultura umanistica, basi politiche, curiosità in ogni campo e un occhio attento verso il mondo che ci circonda. Tutto questo è doppiamente un pregio, sia perché non le permette di scadere nell’autocompiacimento solipsistico dell’artista votato al proprio ombelico, sia in quanto riesce a cogliere i segnali disgreganti e disfunzionali dei rapporti in essere nella nostra società – a livello di relazioni interpersonali, sociali, e politiche. A questa attenzione si sovrappone una cultura teatrale solida che le permette (e speriamo vi attinga anche in maniera più convinta in quest’ultimo lavoro) di intrecciare linguaggi, personaggi ed epoche trascolorando le sue narrazioni con la tragedia classica – da Euripide a Shakespeare per arrivare a Racine. In altre parole, se un personaggio tragico passa dal linguaggio contemporaneo a quello della letteratura (in particolari momenti e contesti) non perde di credibilità, bensì si carica di una universalità che ce lo fa sentire persino più vicino. Se John Doe scrive sul suo diario, in Seven: “Che assurde, ridicole marionette siamo, sgambettanti su un volgare palcoscenico. Ci diverte soltanto ballare, scopare, senza pensieri ignorando quello che siamo… niente. Non per questo siamo stati creati”, Shakespeare potrebbe rispondere: “La vita è un’ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente”. Traslando, perché colei che s’immola sull’altare dello sfruttamento delle odierne mefitiche cooperative, non potrebbe levare infine la sua voce, dichiarando: “... io, triste rifiuto di tutta la natura, /io mi celavo al giorno, io fuggivo la luce: / il solo Dio che osassi implorare era la Morte, / e solo di morire aspettavo il momento. / Nutrendomi di fiele, trangugiando il mio pianto, / troppo, e troppo da presso, spiata nel dolore, / non potevo nemmeno, nelle mie lacrime, affogarmi”? La straziante bellezza della parola appartiene al genere umano, aldilà di cultura ed epoche.
Ecco quindi che Debora Mattiello, partendo da ore di interviste e ascolto di storie vere, inscrive i suoi personaggi indagandone la realtà storica ma anche linguistica per creare il suo personale teatro ove recitiamo noi burattini, ossia noi – uomini e donne – che abbiamo vissuto il boom economico, le sirene del cottimo, la crisi degli anni 80/90, la delocalizzazione, la globalizzazione, le esternalizzazioni e le nuove forme di sfruttamento legalizzato che il capitalismo post-caduta Muro di Berlino non deve nemmeno più mitigare con parvenze di democrazia sociale. Questa è sì, una tragedia, e forse proprio su questo pedale dovrebbe accelerare l’interprete, asciugando le parti più leggere del testo, consegnandoci la scabrosa nudità del lavoro, che non nobilita bensì abbruttisce, quando non uccide – in un crescendo che dalla risata amara arrivi al climax tragico.
Dal punto di vista recitativo, Debora Mattiello è dotata di una voce incredibilmente duttile che le permette di interpretare personaggi completamente diversi tra loro rimodulando, incrinando o accentando appena le parole, o addirittura le sillabe (una delle poche voci che non ha bisogno di ʻtrucchi’ né di grandi cambi d’abito per far comprendere al pubblico di vestire ʻpanni’ sempre diversi). Ma dovrà decidere se percorrere la strada più leggera, dell’Amarcord, con una carrellata di personaggi più adatti al cabaret d’autore che non al teatro, oppure staccarsi totalmente dal côté caricaturale per portare coraggiosamente alla ribalta la tragedia dell’uomo (e della donna) qualunque. Una scelta difficile ma che potrà premiarla – viste le sue capacità – in entrambi i casi.
Restiamo in attesa del lavoro finito per raccontarvelo.
Lo spettacolo è andato in scena a San Salvi Città Aperta:
via di San Salvi, 12 – Firenze
domenica 4 settembre 2022, ore 21.00
Laboratori permanenti presenta:
Italian Jobs
di e con Debora Mattiello
venerdì, 9 settembre 2022
In copertina: Debora Mattiello (foto di Marcello Norberth gentilmente fornita dall’autrice/interprete).