
Un saggio architettonicamente ineccepibile di Vittorio Fiore
di Simona Maria Frigerio
Nell’ultima giornata d’estate mi è stato regalato, dall’autore, il volume Carmine Maringola scenografo/attore. La scena recitante per Emma Dante. Vittorio Fiore – docente di Tecnologia dell’Architettura presso l’Università di Catania e di Scenografia e tecnologie per la produzione teatrale – oltre ad aver scritto il libro, dirige la collana di cui lo stesso fa parte, Períactoi, per LetteraVentidue.
Il volume si presenta esteticamente ed editorialmente curato, corredato da un buon numero di immagini (indispensabili affinché il lettore comprenda quelli che, a tutti gli effetti, sono piccoli saggi molto accurati che analizzano – senza scadere nel pedante o diventare troppo eruditi da renderli adatti solo a esegeti e accademici – il rapporto ‘sensuale’ che si dispiega in una serie di lavori teatrali di vario genere (dalla lirica al dramma) tra scena e messinscena, o tra Carmine Maringola ed Emma Dante, o ancora tra corpo e voce recitante che si muove e agisce in un dato spazio scenico e mente e regia che stanno prima e al di fuori dello stesso.
L’introduzione è affidata ad Anna Barsotti, docente di Storia del Teatro, che ci regala una piacevole immersione nella “cartografia antropologica” in cui si iscrive il binomio Maringola/Dante, tra Napoli e la Sicilia – descritte entrambe come “terre di teatro”. Questo incontro sentimentale e professionale, ma anche di culture e tradizioni rappresentative e recitative, si arricchisce e si sedimenta nelle “ossessioni condivise – materia e tessuti, bambole e luoghi costretti” per esplodere in una forma che potremmo sintetizzare (usando il titolo di un successivo capitolo del libro) “tra artigianalità e rigore”. Barsotti spiega altresi il passaggio dagli spettacoli teatrali alle messinscene liriche che, ricordiamo, prese avvio grazie al successo di Carmen, andata in scena al Teatro alla Scala di Milano nel 2009, con la direzione di Daniel Baremboim (una ‘Carmen operaia’, come mi capitò di scriverne allora), e passa poi a una breve disamina delle opere teatrali e liriche firmate dalla celebre coppia.
Il libro di Vittorio Fiore si apre con un ritratto di Maringola che riporta anche una serie di dichiarazioni dell’attore/scenografo in grado di arricchire di spessore ed esperienzialità la narrazione e un primo esame critico che denota profonda conoscenza sia della materia sia del lavoro e della personalità di Maringola. Illuminante per capire in cosa consista l’essenza di questo suo duplice ruolo – ma anche della visione della regista Dante – una dichiarazione riportata a pagina 32 (e che rimanda al metodo Stanislavskij): “L’essere umano è l’unico elemento imprescindibile del teatro; bisogna interagire prima di tutto con l’attore, dargli la possibilità di avere a disposizione scene e costumi dal primo giorno di prova – pur lasciando possibilità di modifica – per permettergli di abitare il luogo della rappresentazione in modo che possa posizionarsi con tutti gli elementi in maniera vera e naturale”.
Segue un breve saggio garbatamente divulgativo sul tema centrale del volume, ossia l’approccio di Maringola e Dante al lavoro scenografico, specialmente in ambito operistico, e il suo innestarsi compiutamente nell’input registico di Dante. Mentre “la regista [va] alla ricerca dei personaggi da svelare e costruire, dei loro racconti da liberare e comunicare…”, lo scenografo “immagina i luoghi fisici in cui ambientarli”. Questo, però, non avviene in maniera razionale, bensì emotiva perché, come spiega il volume, teatro e opera per Dante sono similari in quanto per lei, le “parole non hanno mai una funzione razionale”. E se, da un lato, non vi è parola ma emozione, dall’altro – perché tali emozioni trovino uno spazio elettivo da abitare – ecco che Maringola ricrea i suoi/i loro “luoghi dell’anima”.
Si ha, quindi, una disamina cronologica delle opere liriche firmate da Emma Dante come regista e in cui Maringola è intervenuto come scenografo. Ricordiamo che in Carmen era stato solo attore, mentre le scene erano firmate da Richard Peduzzi e i movimenti coreografici dalla co-fondatrice della Compagnia SudCostaOccidentale, Manuela Lo Sicco (oggi anche co-ideatrice di A. C. Civilleri Lo Sicco. Casa internazionale per gli artisti).
Si inizia con La Muette de Portici (rappresentato al Théâtre National de l’Opéra Comique di Parigi nel 2012); segue Feuersnot (Teatro Massimo di Palermo, 2014), con centinaia di finestre e un cielo di sedie sospese che, a noi, ha ricordato el Callejon de Hamel a La Habana, e che partono da “suggestioni colte da ambienti urbani che mescolate, apparentemente senza regola, restituiscono un risultato iperrealista e al contempo surreale”. Si prosegue con Gisela! (sempre al Teatro Massimo, l’anno successivo), in cui la coppia affronta nuovamente Napoli (dopo l’esperienza de La Muette) non in quanto città reale bensì l’insieme dei cliché che caratterizzano la visione dell’autore straniero (ma anche di quasi ogni straniero che si approcci alla città partenopea per la prima volta), esaltati in forme barocche da una serie di sipari fiammeggianti e dai costumi delle schiere dei Pulcinella che, “fin dal primo atto danzano come ‘dervisci rotanti’”. Tra i successivi, da segnalare la Cenerentola (Teatro dell’Opera di Roma, 2016) perché vi si respira un omaggio alla splendida Cenerentola di Jean-Pierre Ponnelle del 1971 soprattutto nei toni grigio cenere della scenografia. Anche se nei costumi noi vi ravvisiamo un tocco del genio di Alexander McQueen quando si confrontò con il lusso sfrontato di Marie Antoinette. Seguono il Macbeth (ancora al Massimo di Palermo ma anche al Macerata Opera Festival, nel 2017) contraddistinto dall’“interminabile mantello regale rosso, apparecchiato per una ‘tavola di misfatti’”; il dittico Voix Humaine/Cavalleria Rusticana (Teatro Comunale di Bologna, 2017) con l’uso metaforico di “volumi scenici” che rimanda inevitabilmente al pioniere della scenografia, Edward Gordon Craig; e infine L’angelo di fuoco (Teatro dell’Opera di Roma, 2019) con una scenografia “geometrica e incombente” che, in questo caso, ci ha rammentato l’altrettanto inquietante armadio/Olimpo degli dei de L’Iliade del Teatro del Carretto.
Discorso a sé per Eracle di Euripide (al Teatro Greco di Siracusa, in scena nel 2018) in cui torna il tema dell’inizio, ossia l’approccio laboratoriale con la veemenza di una dichiarazione poetica, propria di Maringola (ma anche di Dante): “Nei laboratori scenografici si tende a ‘decorare’, io volevo raccontare altro, volevo la cava, non le venature”. E anche in quei 254 piccoli ritratti appesi si ravvisa ancora una volta come la ricerca di Maringola parta sempre dalla realtà (in questo caso, i rilievi votivi provenienti dalle latomie di Neapolis o che ornavano la Via dei Sepolcri che conduce proprio al Teatro Greco di Siracusa). E su questa matrice ferocemente avvinghiata al dato reale si sovrappone la fantasia quasi morbosa che quel dato reale divora con le ossessioni d’artista di Maringola e Dante.
Spunti tantissimi, come tantissimi i suggerimenti di lettura di spettacoli complessi che trovano nella fusione dei linguaggi scenico e rappresentativo una rara compostezza e pregnanza. Vittorio Fiore restituisce la complementarietà scenografico-registica di ciascuna opera ma anche, attraverso la ‘voce’ di Maringola, i passaggi poetico-estetici che hanno portato a ciascuna scelta. Il ricco apparato fotografico dà al lettore la possibilità, come abbiamo fatto noi, di ricostruire anche percorsi di senso altri, legati a proprie visioni ed esperienze.
Chiude un bel saggio di Simona Scattina sull’altra faccia di Maringola, quella di interprete e che il contributo ricongiunge con quanto esposto nell’intero volume: “Maringola ha negli anni acquisito «strumenti tecnici per durare», come diceva Ronconi; per ottenerli ha sviluppato una conoscenza profonda dello spazio in cui si muove (derivatagli anche dagli studi universitari, dalla loro applicazione in quanto scenografo e dalla sua passione per la fotografia)”.
Un volume adatto non solamente agli studiosi o agli accademici, bensì capace di far comprendere allo spettatore la cura e i limiti entro i quali opera un artista, per far apprezzare (come sapeva mirabilmente fare, ad esempio, Bruno Zevi con l’architettura) la complessità del mondo del teatro che è sì mestiere e talento ma anche artigianalità.
Carmine Maringola, scenografo/attore. La scena recitante per Emma Dante
di Vittorio Fiore
editore LetteraVentidue
collana Períactoi
data di pubblicazione novembre 2020
pagine 104
formato brossura
venerdì, 11 novembre 2022
In copertina: Un particolare della copertina del volume.