«Gli zapatisti vogliono che siano i popoli a scegliersi la propria forma di governo, di democrazia, di libertà e giustizia»
traduzione di Simona Maria Frigerio (intervista originale in spagnolo sul numero del 4 novembre)
Incontriamo Diana Itzu Luna, aderente al progetto politico zapatista, che ci racconta ciò che continua ad accadere in Chiapas da 28 anni.
Chi è Diana Itzu Luna? Dove vive? Che lavoro svolge e quale la sua funzione nella comunità zapatista?
Diana Itzu Luna: «Ho aderito alla Sexta Declaración de la Selva Lacandona (1) nel 2005, ovvero aderisco al progetto politico zapatista da allora e però fin da quando avevo undici anni ho sentito che il mio cuore batteva per l’EZLN [l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, n.d.t.]. Faccio parte dell’Espacio de Lucha contra el Olvido y la Represión (ELCOR), uno spazio organizzativo di più realtà nato nel 2011 per fronteggiare l’intensificarsi della repressione del mal governo e l’assoggettamento dei territori delle popolazioni indigene. Dal 2019, ELCOR fa parte della Rete de Resistencias y Rebeldías AJMAQ, attraverso la quale ci coordiniamo con altri aderenti della Sexta (singoli, famiglie, collettivi, associazioni) per favorire un’organizzazione articolata e una Rete più su misura rispetto alle nostre realtà. In AJMAQ il nostro lavoro si svolge qui in Chiapas, con le compagne e i compagni zapatisti, e si concentra sul documentare, denunciare e diffondere ciò che accade nei territori autonomi dell’EZLN. Negli ultimi tre anni ho lavorato presso il Caracol 10, il Municipio Autónomo Lucio Cabañas, nella regione di Patria Nueva, con le comunità Nuevo Poblado San Gregorio, e con quelle della regione Moíses y Gandhi. Ho preso altresì parte a spazi politici delle e per le donne. Tra questi, Raíz de Luna, spazio dedicato alla salute e alla presa di coscienza partendo dal collettivo e dal político-spirituale-ancestrale; e il Collettivo Antsetik Ts’unun (‘donne colibrí’) che nasce per dare continuità all’apprendimento, cura, difesa, dignità di vita delle donne in città e campagna. Lavoriamo con le donne indigene dei villaggi maya tseltal, tsotsil e ch’ol. Partendo da tali organizzazioni, partecipiamo al Movimento delle Donne per la Difesa della Madre Terra e dei nostri territori. Vivo a Valle de Jobel in Chiapas e ho scelto di farlo perché zapatista. Però sono nata nella Sierra Negra di Zacatlán, a Puebla. Dal 1994 i miei geniitori mi hanno sollecitata a seguire l’EZLN. Mia madre è di origine indigena – nahuatl/totonaca – e mio padre raramuri».
Vent’anni fa il subcomandante Marcos (dal 2014 subcomandante Galeano) era famoso. I mass media occidentali, però, si sono dimenticati di lui così come del movimento zapatista. Però la guerra – senza armi per volontà dell’EZLN – continua tra le comunità autonome e il potere centrale.
D. I. L.: «La guerra in Chiapas prosegue dal 1994. Sono cambiate le modalità, ma non il suo obiettivo. Sono 28 anni che viviamo la Guerra Integral de Desgaste (il logorio della guerra totale) come famiglie zapatiste dell’EZLN. L’obiettivo principale del potere è privare i villaggi zapatisti del territorio, delle terre recuperate legittimamente nel 1994, e che erano state loro usurpate con il processo storico di spoliazione coloniale. La strategia del mal governo dal 1994 fino a oggi è privarci del suolo e del cielo che abitano le autonomie zapatiste. E lo fanno per mezzo di: a) una guerra economica – con programmi sociali che regalano le briciole alle famiglie non zapatiste, al fine di convincerle con mezzi coercitivi; b) finanziando partiti politici per dividere la comunità e sradicare il senso comunitario delle assemblee; c) a livello agrario, incentivando i titoli che stabiliscono il possesso della terra per generare dispute interne alle comunità e giustificare l’espropriazione legale; d) la guerra mediatica – a livello di informazione, i mass media (radio, televisioni, giornali), commerciali, delle reti sociali e dello Stato, criminalizzano, calunniano e diffamano costantemente tutto e tutti fino all’EZLN. E non dimentichiamo le modalità della guerra armata: e) la militarizzazione, paramilitarizzazione e creazione di gruppi armati anti-zapatisti; f) la guerra psicologica diretta principalmente a bambine e bambini, donne e giovani, per generare timore, angoscia, risentimento, esaurimento affinché rinuncino alla propria dignità come persone, alle organizzazioni e alla vita comunitaria».
La situazione è migliorata dall’elezione del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (AMLO)?
D. I. L.: «No, tutto il contrario. Con il mal governo attuale si sta arrivando al disordine. Credo che lo stesso sia parte di una ristrutturazione del sistema patriarcale-capitalista, una tappa di collasso sistemico. L’EZLN già nel 2012-2015 annunciava la tempesta del sistema mondiale, e attualmente in Messico abbiamo raggiunto il picco. Con AMLO si perpetrano tre generi di guerra: contro le donne, i popoli indigeni e la Madre Terra – re-militarizzazione, mega-progetti, crimine organizzato. Tutto pur di ottenere il controllo e la spoliazione. Ovvero, viviamo un momento storico dai margini indistinti, dove il crimine organizzato si mescola con i funzionari politici delle diverse aree e dei vari livelli istituzionali del mal governo. La corruzione e il crimine corrodono il Messico e generano uccisioni, e non-vita. Questo è il nocciolo del problema: loro alimentano la morte e c’è chi, al contrario, non negozia la vita».
Cosa chiedono gli zapatisti per le proprie comunità? Avete mai pensato di fare un referendum per ottenere l’indipendenza dal Messico?
D. I. L.: «Gli zapatisti vogliono conservare ciò che appartiene loro, che meritano come popolazioni indigene. Non vogliono cercarsi un altro sorvegliante/padrone/capo/presidente, bensì qualcosa di più onesto e semplice: che siano i popoli a scegliersi la propria forma di governo, di democrazia, di libertà e giustizia. Che siano i popoli che trovino i propri modi per l’autosostentamento materiale (un’alimentazione sana e dignitosa, rispettosa della Madre Terra). E lo fanno con la resistenza e la ribellione auto-organizzando il proprio sistema sanitario, educativo, la comunicazione, eccetera. Ma anche attraverso il lavoro collettivo in famiglia, nelle cooperative, nei collettivi familiari, nelle comunità, a livello regionale e municipale. Tutti: donne, giovani, uomini e trans».
Qual è la situazione in Chiapas, a livello di connivenze tra Narcos e potere politico?
D. I. L.: «I principali Cartelli del crimine organizzato sono alleati dei partiti politici al potere, in quanto condividono il desiderio di depredare ed estrarre dai nostri territori. I Cartelli più importanti sono quello di Sinaloa e il Cártel Jalisco Nueva Generación, alleati con il partito MORENA (il cui leader è il Presidente del Messico, n.d.g. (2) e il Partido de México Verde Ecologista (entrambi figli del Partito Rivoluzionario Istituzionale)».
Gli zapatisti propugnano l’autosufficienza alimentare e l’autonomia in ambito scolastico e medico. Perché?
D. I. L.: «L’EZLN punta sulle autonomie in maniera integrale: è il modo per rendere degno il nostro stare al mondo e, in questo modo, trasformarlo in qualcos’altro. Non sappiamo in cosa, però siamo certi di non volerlo capitalista, patriarcale e colonialista. Le fondamenta su cui si reggono le comunità zapatiste sono l’autogoverno, l’autosufficienza alimentare, e i sistemi integrali di sanità ed educazione per la salute e la consapevolezza familiare, collettiva, comunitaria e regionale».
Come funzionano le vostre scuole? Avete classi, programmi accademici, carriere professionali, eccetera?
D. I. L.: «Si tenta di dare una educazione senza indottrinare, senza il meccanismo di controllo della scolarizzazione e della professionalizzazione che utilizza il mal governo, bensì il contrario: un’educazione alla libertà, per generare consapevolezza come persone parte di un tutto, costituito dalla comunità, dal popolo e dalla Madre Terra. Una educazione che dia dignità all’essere umano come parte di un popolo, perché si riconosca e si rispetti la dignità di ognuno (persone, piante, montagne, animali) e si rispettino le differenze e le si lodino. Una educazione nella quale il riconoscimento fortifichi la collettività. Ciascuna comunità decide e definisce il modo e la forma di esercitare il suo diritto all’educazione. Esistono scuole all’interno delle comunità, e parallelamente centri educativi tecnici e per gli impiegati dei municipi e delle regioni autonome. Se qualcuno sente di voler lavorare in campo medico, imparerà a essere promotore di salute partendo dalle piante medicinali che utilizza in famiglia e nella comunità; se è interessato alla comunicazione, imparerà come funziona la radio comunitaria, eccetera. In pratica, l’apprendimento, il disimparare e la scoperta dei saperi si imparano nella quotidianità comunitaria, da tale punto di partenza si procede con le analisi e le domande a scuola. La comunità è il nostro libro. Non il contrario, come accade nelle istituzioni che indottrinano e imprigionano nella professionalizzazione».
Contro il Covid, che rimedi avete adottato in Chiapas? Cure? Vaccini?
D. I. L.: «Fondamentale è stato avere informazioni certe, dopodiché dare impulso all’alimentazione, con ogni famiglia che si è dedicata a migliorare la propria piantagione di mais. Come collettivi abbiamo piantato alberi da frutta e tuberi (yucca, zenzero, rape, eccetera). Abbiamo sostenuto il lavoro collettivo dei promotori di salute su scala comunitaria e regionale, grazie all’utilizzo di piante medicinali e l’assistenza personale e familiare. Abbiamo potenziato l’organizzazione regionale a partire dai giovani. Il sistema organizzativo proprio dell’EZLN ci ha permesso di affrontare la pandemia in maniera efficace e senza paura – partendo dal senso di responsabilità e l’automedicazione. È stato molto diverso nelle comunità dove non c’erano organizzazione e autonomie, dato che il sistema sanitario del mal governo si è dimostrato obsoleto e incompetente di fronte alle nuove sfide del collasso del sistema capitalista».
Da molti anni gli zapatisti si oppongono allo sfruttamento della terra (per esempio con la battaglia contro gli Ogm o la difesa di suolo e acque). State raggiungendo i vostri obiettivi?
D. I. L.: «L’EZLN ha da subito recuperato parte delle nostre terre, non come proprietà ma per essere i guardiani del bene comune. Questo è il nostro sentire vitale: recuperare l’amore e il rispetto verso la Madre Terra, ovvero, la cura – e questo implica non usare agrotossici dal 1994. Tale scelta implica il non accettare i programmi governativi, che sono i primi a incentivare l’uso di agrotossici. Essendo l’alimentazione uno dei principi base dell’organizzazione zapatista per una vita dignitosa, è fondamentale l’autosufficienza alimentare partendo dal recupero di saperi ancestrali mischiati con tecniche attuali di agroecologia, che basicamente è il sapere (le conoscenze) dei nonni e delle nonne nella cura del seminato e piantato così da ottenere un buon raccolto. Attualmente le comunità meglio nutrite in Chiapas sono quelle autonome zapatiste, e questo si vede soprattutto nei corpi di bambine e bambini, e delle donne. Prima del 1994 la causa principale di morte era la malnutrizione di donne e bambini (dai 3 ai 6 anni), vulnerabili alle infezioni dello stomaco, parassitarie, alla denutrizione. La terra recuperata dall’EZLN è occupata principalmente da piantagioni di mais, alberi da frutta, fagioli, caffè e orti».
Gli zapatisti si oppongono al sistema partitico, base della democrazia occidentale. Perché?
D. I. L.: «I partiti dividono, distruggono il tessuto comunitario. Il loro interesse è mantenere il potere partendo da una struttura gerarchica, autoritaria, centralizzatrice e patriarcale. Senza partiti, il nucleo diventa la comunità, e come riuscire a dare alle famiglie e alle persone che la compongono una vita piena e dignitosa in comune. Il sistema partitico non è pensato per questo fine, bensì per dividere e creare gerarchie, ossia divisioni che generano differenze di classe. E di conseguenza disprezzo ed esclusione di alcuni. L’EZLN esercita il diritto all’autogoverno, e propone le Juntas de Buen Gobierno al posto dei partiti politici. Le JBG si assumono la responsabilità di costruire una democrazia radicale, che si basa sull’ascolto delle necessità e la risoluzione dei problemi della popolazione».
Per gli zapatisti i diritti civili sono importanti. Qual è il ruolo delle donne nelle comunità del Chiapas? Esiste il diritto all’autodeterminazione? E quello all’interruzione volontaria di gravidanza?
D. I. L.: «I diritti comunitari abbracciano i diritti di ciascuna famiglia e persona. Le donne rappresentano oggi la maggior potenza delle autonomie zapatiste. Unitamente ai giovani e alle giovani. Sono state le donne le prime a organizzarsi per esprimere rabbia e dolore per il modo di fare machista dei propri compagni, e va anche detto che esistono molti usi e costumi comunitari che hanno basi patriarcali. Le donne hanno ottenuto il loro ruolo quando sono riuscite ad assicurarsi la terra e garantirsi l’autosufficienza alimentare, il diritto di essere curate in una clinica comunitaria autonoma, e quando sono riuscite a organizzarsi tra donne per creare collettivi che forniscono sicurezza economica come donne. A questo punto hanno ottenuto il diritto di decidere quanti figli e figlie avere, se sposarsi o meno o entrare tra i ribelli. Hanno diritto all’interruzione volontaria di gravidanza e non solo possono accedervi ma farlo in forma sicura, con piante medicinali e nei tempi adeguati per prendersi cura del corpo e della psiche. Ciò che ho capito è che sono poche le donne a volerlo fare, essendo parte di un’organizzazione di donne che celebrano la vita e la nascita di un essere dal proprio utero. Uteri adesso ben nutriti, rispettati, e che hanno il controllo comunitario e organizzativo a vari livelli. Tutto ciò è stato possibile perché hanno insistito a partecipare alla vita politica come donne, occupare i luoghi ove si prendono le decisioni, spazi in cui se ci sono altre donne è più facile essere ascoltate perché comprendono le necessità e le preoccupazioni di altre donne».
Dopo Seattle e Porto Alegre, c’è stato un movimento che ha fatto proprie le istanze degli zapatisti, sconfitto a Genova nel 2001. Un altro mondo è ancora possibile?
D. I. L.: «Sì. Gli zapatisti stanno raggiungendo ciò che desiderano in base alle loro possibilità e al loro orizzonte. Stanno facendo nascere un altro mondo partendo dai mondi tseltal, tsostsil, ch’ol, tojolabal, integrati e articolati a partire dalle Caracoles [regioni autonome, n.d.g.] zapatiste, che al momento sono 12. Ognuna con un suo JBG. E con 31 municipi autonomi zapatisti. Noi percorriamo questo altro mondo e non ci stanchiamo di entusiasmarci e contagiare altri mondi perché è arrivata l’ora di assumersi la responsabilità di partorire nuove possibilità di vita nei diversi Paesi. Il cambiamento non arriverà dall’alto bensì dal basso, dalle famiglie, le comunità e i popoli organizzati. Per arrivare a ciò è necessario far crescere la dignità (sentire che meritiamo una vita dignitosa e libera) e solo così sarà possibile serbare la speranza».
(1) Il testo della Sexta Declaración de la Selva Lacandona https://enlacezapatista.ezln.org.mx/sdsl-es/
(2) https://es.m.wikipedia.org/wiki/Morena_(partido_pol%C3%ADtico)
Versione in lingua originale:
venerdì, 11 novembre 2022
In copertina: Videocassetta originale, con intervista al subcomandante Marcos, prodotta da Il Manifesto.
Nel pezzo: Zona archeologica di Palenque. Foto di Aline Dassel da Pixabay.