
Un evento che fa pensare al ruolo della fotografia come specchio della realtà
di Simona Maria Frigerio
Alla Città del Teatro di Cascina il 27 maggio scorso è stato presentato un evento organizzato da Alessandra Mauro, direttore editoriale della Casa editrice Contrasto e Direttore artistico della Fondazione Forma per la Fotografia; e da Roberto Ippolito, scrittore, giornalista e organizzatore culturale.
Presenti sul palco entrambi per raccontare, attraverso una serie di fotografie originali, il rapporto di Robert Doisneau con il suo media espressivo, ossia la macchina fotografica, ma anche la città di Parigi che, attraverso quel mezzo, ha restituito al mondo in un particolare contesto storico – quello degli anni 50 e 60 del Novecento.
In introduzione, un doveroso omaggio al fotoreporter Sebastião Salgado, venuto meno il 23 maggio di quest’anno e sicuramente una punta di diamante di quella fotografia che nasceva partendo da progetti pluriennali di chiara matrice ideologica e di denuncia – ma mai biecamente pedagogici – che hanno saputo raccontare le piaghe infette e la bellezza di questo nostro mondo.
Ma torniamo a Doisneau e al ritratto che ne è emerso. In realtà, nonostante la ricchezza di spunti e la grande comunicativa di Alessandra Mauro, oltre alla precisione delle domande (che denotano una conoscenza della materia) di Ippolito, il risultato è stato un po’ come togliere qualsiasi alone mitico ai lavori di Doisneau.
Cerchiamo di spiegarci meglio
Doisneau è stato forse uno tra i primi a considerarsi un fotografo di strada, ovvero un flâneur – meno ozioso della figura ottocentesca immortalata da Beaudelaire – il quale, invece di riempirsi di spleen di fronte a quanto vedeva, sperimentava e detestava amando, per restituire in poesia la ‘carogna’ (1), voleva trasmettere al mondo una Parigi di gaieté.
Ma questo significava immortalare uomini, donne e bambini, in quello scatto irripetibile (anche perché non esisteva il digitale), dopo ore passate vagando e non trovando, attendendo e cercando uno scorcio, uno sguardo e una situazione che – magicamente colti nell’attimo fuggente – restituissero al lettore delle riviste patinate su cui pubblicava, o al visitatore delle sue mostre, la medesima sensazione di gioia, nostalgia e un pizzico di naïveté.
Si potevano ‘perdonare’ a Il bacio quelle teste in primo piano, tagliate a metà, perché si ammirava la prontezza del voyeur che, da dietro la vetrina di un bar, aveva rubato un gesto di passione; si poteva ridere della signora seduta impettita con le sue volpi al collo, che osservava indispettita il marito godere del tocco della giovane ballerina, che gli si appoggiava alla gamba; si poteva rammentarsi di un’infanzia più libera e felice di fronte ai bambini in fila agli orinatoi – in tempi in cui la pedofilia non era diventata l’ossessione dei genitori, imbottiti di paure dalle serie crime statunitensi.
E però proprio durante la serata (un’ora peraltro piacevolissima), è emerso che le fotografie erano costruite a tavolino e, non solo, erano addirittura commissionate dalle riviste. Life, ad esempio, volendo restituire agli statunitensi l’immagine fantasiosa di una Parigi in cui gli innamorati si baciassero un po’ ovunque, come nelle poesie di Prévert (2) – tra l’altro, grande amico di Doisneau – commissionò tale incarico al fotografo, il quale assunse due giovani attori, innamorati, per una mattina di lavoro. Insieme fecero un giro per la città e Doisneau cercò i vari palcoscenici sui quali farli posare per lo scatto (nel famoso Bacio, ingaggiò persino il signore con gli occhialini che è alle loro spalle e che, secondo alcuni, dovrebbe personificare la morale borghese indispettita da tali atteggiamenti).
A questo punto, però, qualcosa scatta nell’osservatore. Quelle teste, ad esempio, diventano un errore nell’inquadratura e, soprattutto, Life perde qualsiasi credibilità come specchio dei tempi, degli stili di vita, delle mode: già in quegli anni la stampa mainstream sembra il megafono per indirizzare l’opinione pubblica verso l’accettazione di valori o disvalori che ancora non le appartenevano. E Doisneau, da fotografo di strada, si trasforma in strumento per la costruzione di un immaginario tanto patinato quanto fasullo.
Forse avremmo preferito non saperlo…
(1) https://apolide.wordpress.com/2008/01/03/une-charogne-charles-baudelaire/
(2) https://campus.hubscuola.it/content/uploads/2021/03/prevert_enfants.pdf
La personale di Doisneau al Lu.C.C.A. Center di qualche anno fa:
venerdì, 13 giugno 2025
In copertina: 1992, Robert Doisneau fotografato da Bracha L. Ettinger nel suo studio di Montrouge (CC-BY-SA 2.5 License)