Arriva alla Scala la regia di Lepage ambientata tra i suoi palchi
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
La Scala si rispecchia in se stessa, come Shakespeare fece con l’alter ego Prospero. Il mago rompe la sua bacchetta o scettro del comando e il Bardo depone la penna: come interfacciare la lettura metateatrale di uno tra i capolavori del teatro inglese con la dualità che ama evocare Adès, sempre in equilibrio tra magia/onirismo e necessità/ragione? Il regista Robert Lepage, soprattutto nel preambolo al I e nell’intero III atto, coadiuvato dalle scenografie di Jasmine Catudal, sceglie di ricreare una serie di rispecchiamenti e giochi metaforici che si sposino con il taglio interpretativo marcato e moderno, che contraddistingue le performance recitative (e non solo canore) di The Tempest, sul palco della Scala fino al 18 novembre. Ve ne mostreremo alcuni.
L’opera di Thomas Adès, su libretto dell’australiana Meredith Oakes – che va ben oltre una semplice trascrizione del masque di Shakespeare in inglese contemporaneo – si contraddistingue per essere volutamente operistica, a livello musicale, mentre l’impostazione registica si mantiene in equilibrio tra il musical (il che attualizza un genere ormai solo per appassionati e melomani e non più nazional-popolare com’era nell’Ottocento) e alcune concessioni alla tradizione. Tra queste ultime ricordiamo il duetto fronte pubblico di Miranda e Ferdinando – i quali risultano, però, più godibili nel diverbio con Prospero (in cui le tre voci riaffermano temperamenti e posizioni in contrappunti precisi).
Essendo davvero alla Scala ma soprattutto a Milano non può sfuggirci che il prologo, nel I atto, appaia come un omaggio alla Tempesta di Strehler/Damiani del 1977/78, con quell’oceano realizzato in tessuto (allora era di seta) e la pedana (simile alla zattera-isola) che resterà quasi sempre leggermente inclinata – figura metaforica dell’instabilità dei personaggi, delle relazioni tra gli stessi e perfino dell’essenza reale di Prospero. Sempre nel prologo apprezziamo un’altra metafora, in certo senso doppia, costituita dal lampadario/àncora sul quale si destreggia Ariel (ovviamente non interpretata/o dalla cantante), in quanto ci cala nell’universo magico, o meglio teatrale, ricreato da Prospero sull’isola, dove vorrebbe mettere in scena la propria vendetta, ma rimanda anche all’àncora e alla tragedia reale che stanno vivendo equipaggio e passeggeri sulla nave che affronta i marosi della tempesta.
Sempre preciso e puntuale il coro, la cui valorizzazione nel secondo atto dà adito a una tra le scene d’ensemble meglio riuscite (complici i giochi di luci e ombre di Michel Beaulieu e i costumi riflettenti e fruscianti di Kym Barrett).
Il terzo atto trasla la trama metaforica in un dietro le quinte che lascia gli attori/passeggeri, ormai privi di regista/mago, languire come marionette senza fili. L’isola/teatro a destra: dove resteranno solo Ariel e Calibano, finalmente padrone di quella terra che gli appartiene (il messaggio anti-colonialista è chiaro e pungente); e la nave a sinistra: la realtà che strapperà via per sempre Prospero alle sue fantasie di vendetta.
Il gran finale spetta al tenore che, inaspettatamente, non è né per ruolo né per personaggio il protagonista, ossia Prospero, bensì il deuteragonista Calibano – tenendo conto che il tritagonista è indubitabilmente Ariel e, strutturalmente, pare di trovarsi di fronte più a una tragedia greca che a un masque edoardiano.
A livello musicale si notano soprattutto le dissonanze le quali, volute dal compositore per restituire la selva di rumori dell’isola, sembrano altresì servire ad Adès per sottolineare le discordanze psicologiche e le trame conflittuali tra i diversi personaggi – sebbene i cantanti non riescano sempre a seguire le vette impervie (pensiamo alla difficoltà di Five Fathoms deep, ad esempio) e ad accordarsi alla selva di rumori.
Pochi gli interpreti dell’edizione originale alla Scala (del resto, l’opera è stata rappresentata per la prima volta il 10 febbraio 2004 alla Royal Opera House, mentre è del 2012 il riallestimento per la Metropolitan Opera di New York – e a Milano si sente la mancanza del Prospero di Simon Keenlyside). Sottoutilizzati Stefano e Trinculo, nei ruoli comici, e decisamente kitsch Ariel in veste d’arpia. Seducente l’uso del video di David Leclerc, con la coppia di innamorati che scompare alla vista tra quelle che potrebbero apparire dune mentre, sul fondale, si rifrangono morbidamente le onde; cinematografica, al contrario, la proiezione degli antefatti che sottolineano visivamente il lungo monologo di Prospero nel I atto. L’Ariel di Audrey Luna si destreggia ottimamente sulle ottave più alte che un soprano possa toccare ma non sempre con pienezza o calore di vocalità; Frédéric Antoun ci regala i momenti migliori – a livello canoro – sia nel II sia nel III atto con la chiusura a sigillare finalmente la ritrovata libertà.
Lo spettacolo continua:
Teatro alla Scala
piazza della Scala – Milano
fino a venerdì 18 novembre 2022
The Tempest
composta e diretta Thomas Adès
libretto Meredith Oakes
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
regia Robert Lepage
ripresa da Gregory A. Fortner
scene Jasmine Catudal
costumi Kym Barrett
luci Michel Beaulieu
riprese da Marco Filibeck
video David Leclerc
coreografia Crystal Pite
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Prospero (baritono) Leigh Melrose
Ariel (tenore) Audrey Luna
Caliban (tenore) Frédéric Antoun
Miranda (mezzosoprano) Isabel Leonard
Ferdinand (tenore) Josh Lovell
Alonso (tenore) Toby Spence
Antonio (tenore) Robert Murray
Stefano (basso-baritono) Kevin Burdette
Trinculo (controtenore) Owen Willetts
Sebastian (baritono) Paul Grant
Gonzalo (basso-baritono) Sorin Colban
coproduzione Wiener Staatsoper, The Metropolitan Opera, L’Opéra de Québec
in collaborazione con Ex Machina
venerdì, 11 novembre 2022
In copertina: La locandina dela Scala.