
A Jorge da Burgos sarebbero piaciuti ChatGPT e DeepSeek
di (e traduzione di) Simona Maria Frigerio
Jorge da Burgos ne Il nome della rosa interpreta il lavoro dei benedettini in funzione di preservazione di ciò che è già stato enunciato e scritto: conservare una verità che è insieme unica e assoluta. Non esiste possibilità di andare oltre le parole dei Padri della Chiesa e le parabole di Cristo. Tutto è già stato detto e la scienza (intesa come dubbio) come il riso (inteso quale mezzo per sovvertire un presunto ordine precostituito) sono banditi.
Saltando di qua e di là in questo universo/mondo sempre più simile a se stesso ovunque si vada e ossessionato dalll’IA, mentre cerco di capire cosa si intenda davvero per Intelligenza Artificiale (al di là degli usi nefasti in guerra, dove diventa un cecchino senza coscienza), mi imbatto nella dichiarazione di una collega, la quale afferma che l’IA è il copilota del giornalista. Se traducessi letteralmente dovrei pensare che l’IA, come il copilota di un aereo, mi assiste, essendo io il capitano (ma quando mai il giornalista è il capitano, avendo sopra di sé, in redazione, caposervizio, caporedattore, direttore ed editore?); monitora gli strumenti di volo (il che potrebbe significare che controlla quanto sto facendo, quante pause caffè mi prendo, quante volte vado al bagno?); gestisce le comunicazioni radio (ossia ascolta le mie chiamate e controlla i miei messaggi?); e subentra al pilota (che sarei io…) secondo necessità. Ecco, basta avere LinkedIn per rendersi conto del risultato: a pagamento l’IA riscrive per te i post o, se si preferisce, i titoli – più accattivanti, strombazzati o svuotati del senso originario non sappiamo, non avendo attivato il servizio. Ma l’idea che l’IA si sostituisca al giornalista, forse non è venuta alla collega quando ha fatto il brillante paragone…
Come scriveva sul New York Times, Noam Chomsky, nel 2023: “La mente umana non è, come ChatGPT e simili, un pachidermico motore statistico per comparare modelli, che si ingozza di centinaia di terabyte di dati, estrapolando quella che parrebbe la risposta conversazionale più verosimile o più probabile a una domanda scientifica […]. Al contrario, la mente umana è un sistema sorprendentemente efficiente e persino elegante che opera con un piccolo quantitativo di informazioni; non cerca di inferire correlazioni brute ma di creare delle spiegazioni”.
Nello stesso anno, il 2023, il Presidente Putin teneva un discorso fondamentale per il nuovo corso della Federazione Russa, in cui assicurava che lo Stato avrebbe usato «le risorse della Fondazione del Presidente, la Fondazione per le Iniziative Culturali, l’Istituto per lo Sviluppo di Internet e altri strumenti per supportare tutte le forme di attività creative, quali arte tradizionale e contemporanea, realismo e avant-garde, opere classiche e innovative. Non conta il genere o la corrente. La cultura è al servizio di ciò che è buono, bello e armonioso, riflette su temi complessi e contraddittori dell’esistenza, ma la sua missione principale non è distruggere la società bensì coltivare le migliori qualità umane». Esattamente il contrario di quanto attribuito a un Tremonti o detto esplicitamente in un discorso da Barack Obama: le materie umanistiche e le arti forse non si mangeranno, ma servono a far pensare, a ragionare sul presente e a immaginare un futuro migliore. Controcorrente anche il passaggio di Putin sulla ricerca che, come la cultura, avrebbe bisogno di essere libera per sviluppare il proprio potenziale creativo. Secondo il Presidente russo – ma pensiamo a quanti scienziati in questi anni hanno rivendicato i medesimi concetti, scontrandosi con governi e aziende che pretendono una ricerca vincolata all’innovazione tecnologica e finalizzata ai bisogni dell’industria – la ricerca ha le proprie regole e occorre rispettarle, senza vincolarla alle necessità dell’oggi o del futuro prossimo. La Cina, che sta diventando tanto competitiva nel mondo da spaventare gli States, con le sue città della ricerca, in cui migliaia di studenti si incontravano e condividevano problemi, studiavano modelli e proponevano soluzioni, ne sarebbe una riprova: peccato che ormai sia cascata anche lei nel tranello della rincorsa dietro all’IA.
E passiamo alle argute riflessioni postate da Giuseppe Masala, in Italia: “Se io posso intavolare un fervido dialogo con Aristotele, Tucidide, Omero, Sofocle fino ad arrivare a Dostoevskij a Mann e a Gibson semplicemente leggendone le opere, a cosa mi serve fare domande ad una AI conversazionale come ChatGPT o DeepSeek? Se io posso ascoltare la musica di Beethoven, Mozart o Bob Dylan, oppure posso ammirare un’opera di Chagal, Caravaggio, Klee o Warhol, a cosa mi serve una AI LLM che genera musica (sarebbe più corretto dire suoni) e/o immagini? Se io posso guardare un film di Kubrick o di Fellini, a cosa mi serve una AI LLM che genera video? Se io posso descrivere da me una immagine che vedo, a cosa mi serve una AI LLM Multimodale che se le dai una immagine te la descrive? La Verità Vera è che l’Intelligenza Artificiale è l’ultimo stadio del rincoglionimento umano. O meglio ancora, è la definitiva riduzione a gregge belante di masse umane gestite dai pochi uomini che producono questi strumenti. Poi è importante seguire la questione. Ma la rivoluzione vera, sarebbe mandare a fanculo queste cazzate”.
Se il linguaggio dell’ultimo passaggio può sembrare un po’ sopra le righe, il contenuto è chiaro: chi immette i dati nel sistema per fornirci la risposta, può manipolare lo stesso affinché risponda a una visione del mondo che può trasformarsi da riscrittura della storia a egemonizzazione culturale.
Chiudiamo ritornando in Oriente, con un esempio pratico. Anni fa ebbi da ridire sul conto in un ristorante in Thailandia. La cameriera venne con la calcolatrice per rifare il conto ma risultava ancora errato. Rammento che era una semplice somma del genere 120+60+40+80=300 Bath. Ma a lei risultava molto di più. Si sarebbe potuto farlo a mente. Ma mi misi lì con lei, carta e penna e, dietro lo scontrino, le incolonnai le cifre e il risultato non cambiava, ma lei non riusciva a fare i riporti. Nemmeno scrivendole e spiegandole in inglese 2+6+4+8=20, scrivi 0 e riporti 2 e lo sommi all’1 e ottieni 3, riusciva a capire. Non aveva mai fatto un’addizione a mano in vita sua. C’era la calcolatrice e, se per qualche ragione, non funzionava o errava a digitare un tasto, non riusciva a trovare la soluzione da sé. Alla fine, alla cassa, risultò 300 Bath, come sostenevo io da mezz’ora, pagai e me ne andai. Ma negli anni successivi capii che, in Thailandia, in pochi – tra le persone comuni: camerieri, baristi, cassieri, negozianti, eccetera – sapevano fare i calcoli a mano e praticamente nessuno a mente. E poi, negli ultimi anni persino pronunciare qualche parola di inglese è diventato superfluo perché esistono i traduttori sui cellulari; che poi traducano “Tu non esisti” invece che “Non ci risulta il suo nome o un appuntamento a suo nome col dottore” poco importa: per la prima volta ho provato l’ebrezza di trovarmi di fronte a una persona che, guardandomi in faccia, mi rispondeva mostrandomi la schermata dello smart (sic!) phone: “Tu non esisti”.
Nessuno mette in dubbio che un sistema, che può elaborare una equazione a più cifre, possa essere molto utile per un matematico o un fisico o un astrofisico. Ma pian piano, smettendo di fare addizioni e sottrazioni, e usare i primi anni di vita – invece che di fronte a un giochino sul cellulare – a inventare storie o a giocare con gli amici in cortile, disegnare a mano libera o leggere una filastrocca di Gianni Rodari, finiamo per diventare come quei thailandesi che, sui pullman, passano ore a scorrere immagini di vestiti, scarpe, auto, pietanze o semplici pubblicità di dentifrici sbiancanti (l’ultima moda essendo il carbone, come lo è stata fino a qualche anno fa la bava di lumaca per la pelle del volto), praticamente ipnotizzati, e incapaci di leggere persino un articolo.
“Tu non esisti”: probabilmente la stessa frase che l’IA israeliana direbbe a un bambino palestinese prima di sparargli.
Forse sarà meno efficiente, ma non dovremmo ricominciare a porci le vere domande e a cercare da noi le risposte?
venerdì, 27 giugno 2025
In copertina: Foto di Gerd Altmann da Pixabay (particolare per ragioni di layout)