
Esce il libro di Vincenzo Lorusso per 4 Punte Edizioni
di Simona Maria Frigerio
Per una volta, permetteteci di iniziare una recensione partendo dall’editore. Perché 4 punte?, ci siamo chiesti, e abbiamo scoperto che “il 17 ottobre 1943 i partigiani [italiani, n.d.g.], per la prima volta, cosparsero di chiodi a quattro punte le strade che da Roma portavano a sud, verso la Linea Gustav. Semplici ma micidiali, i chiodi squarciavano gli pneumatici degli automezzi, sabotando la marcia del nemico”. Non sembrerà velleitario, quindi, in tempi in cui omologarsi e accettare passivamente la verità unica dei media ufficiali e delle Commissioni Europee sono assurti a diktat, che una Casa editrice – che pubblica questo libro, in controtendenza – rivendichi di voler dare spazio a chiunque, oppresso, abbia “levato il capo contro un oppressore”.
Ma permetteteci un’altra breve digressione. Proprio recentemente la nostra Redazione è stata invitata a Gorizia e a Nova Gorica per lo Spring Forward Festival, una vetrina della migliore danza europea, partorita dalla Ue. Lì abbiamo conosciuto anche alcuni giovani e meno giovani che seguirebbero un corso per ‘comunicare la danza’, attraverso podcast, video, interviste, eccetera (teoricamente per sviluppare un discorso critico; in realtà per fare quelle che, un tempo, si denominavano pubbliche relazioni). Ora, proprio una delle allieve (straniere) dell’Academy – da me consultata – ha ammesso di non aver visto (almeno fino alla fine della seconda giornata) performance interessanti e, anzi, si chiedeva come si potesse pagare un biglietto per simili proposte. Concordavo con lei e gliel’ho detto, aggiungendo che avremmo pubblicato le nostre recensioni su InTheNet, commentando con spirito critico le proposte a cui avevamo assistito entrambe fino a quel momento. Lei mi ha risposto con l’ardore spento dei suoi vent’anni: «Se te lo lasciano fare…». Questo è lo stato dell’arte oggi, in Europa. Critici in erba e aspiranti giornalisti che hanno già introiettato come occorra conformarsi al pensiero dominante o al potente di turno se si vuole lavorare nel campo: altrimenti resta solo la ‘free press’ – che può tradursi in stampa ‘libera’, ma sicuramente è lavoro ‘gratuito’, il che equivale, sempre in Italia, a non essere nemmeno considerati giornalisti.
Come far sentire, quindi, la voce di un palestinese o di un abitante russofono del Donbass in un’Europa che ha scelto in che campo stare: dalla parte dell’Ucraina, al fianco del Presidente Zelensky, imitandone persino il saluto, quello Slava Ukraini con cui si salutavano i fascisti di Stepan Bandera e che, secondo la Commissione Europea (come si può leggere sul sito ufficiale) è oggi interpretato quale occasione per: “Stand with Ukraine to defend freedom and democracy”? Non importa che la libertà e la democrazia ucraine abbiano imposto di cancellare un popolo, la sua cultura, la sua lingua, la sua religione, la sua storia, oltre a sindacati e partiti politici, giornalisti e dissidenti, e perfino il significato del termine anti-fascismo. Da quando abbiamo trasformato azioni di guerra in missioni di pace, il significato di qualsiasi significante ha perso di senso (Eco mi avrebbe dato una pacca sulla spalla per tale banalità, sic!).
In questo clima cosa potrà fare il libro che ci accingiamo a recensire? Dietro alla russofobia – come scrive nell’introduzione Marija Zacharova – “non c’è la verità, ma la paura della vera verità, che non rientra nel quadro di un’immagine unilaterale del mondo”. Di certo questo libro cerca di dare risposte analizzando fatti storici, falsi miti, spunti reali. Ma in un’Europa dove una ragazza poco più che ventenne, ben educata e istruita, pronta ad assumere un ruolo nella ‘comunicazione’ (termine che ha ormai sostituito quello di ‘informazione’) ha già abdicato alla libertà di scrivere criticamente, ci viene da parafrasare il titolo di un libro di Raymond Carver: “di cosa parliamo quando parliamo di… Russia”?
La Premessa dell’Editore e la Prefazione di Alberto Fazolo
All’inizio dell’Operazione speciale militare era facile far passare come unica verità che la Russia avesse invaso l’Ucraina per aumentare il proprio potere, le proprie ricchezze e allargare il proprio territorio (nonostante fosse già il Paese più grande al mondo, sic!). In Italia, pochi sapevano che esistessero i Protocolli di Minsk, meno ancora che in Donbass la maggioranza fosse russofona o che, nel 2014, c’era stato un golpe in quel Paese e, quindi, era facile per la stampa e la politica far credere che, da una parte, ci fosse un invasore/carnefice/dittatore e, dall’altra, una nazione invasa/vittima/fulgido esempio di democrazia. Con i bombardamenti indiscriminati su Gaza (il 90% della Striscia è stata rasa al suolo), al contrario, è diventato palese che in Ue, Uk e Stati Uniti esistono: “due pesi e due misure” e se “da tre anni le sanzioni contro la Russia si ripetono senza sosta, c’è un [altro] Paese che ha invaso grandi territori di Stati confinanti, e continua a farlo, indisturbato, dal Dopoguerra. […] Un popolo viene scientemente eliminato [ma in] questo caso, per decenni, mai una sanzione è stata adottata. Nessuna! E anche ora, davanti a un massacro senza precedenti, il «civile mondo occidentale» volta le spalle dall’altra parte” – nota dell’Editore.
A tale incipit, Alberto Fazolo aggiunge ulteriori spunti di lettura. Partendo dal colonialismo e dalla brama occidentale (e italiana) per le ricchezze minerarie e naturali russe, suggerisce che “in alcuni Paesi il fascismo” sia diventato “lo strumento dell’offensiva globale dell’Occidente Collettivo”. Contro il multipolarismo (che non è sinonimo di comunismo, ma almeno di quella ‘confusione sotto il cielo’, che potrebbe essere di buon auspicio…) si batte un Occidente che “sta affrontando delle gravissime crisi, tra cui quelle politiche, economiche e d’identità”. E se rispetto alla politica, a nostro avviso, occorrerebbe porre particolare attenzione al fatto che gli europei stanno lasciando in mano a delle Commissioni di non eletti le scelte politiche e geo-strategiche di maggior peso (fin dall’insorgenza del coronavirus); Fazolo ricorda come per decenni i Paesi europei si siano “inebriati di una finta retorica democratica, di una morale apparentemente impeccabile e di millantati superiori valori etici. Immagini che l’ex vice presidente della Commissione europea Josep Borrell ha sintetizzato nell’odiosa formula «l’Europa è un giardino, il resto del mondo una giungla»”. Se tale affermazione è semplicemente ridicola, oltre che ‘politically incorrect’ (soprattutto se pronunciata da coloro che si tacciano di essere i paladini della ‘correttezza’), è altrettanto vero che i “Paesi UE stanno calando la maschera di democraticità e stanno ricorrendo a sistemi di governo dittatoriale per poter conservare il potere”. Non a caso – aggiungeremmo – il primo a suggerire la legittimità di tali teoria e prassi, durante il meeting di CL di Rimini, nel 2020, fu Mario Draghi che rivendicò il dovere/diritto della politica economica di essere “più pragmatica e i leader che la dirigono” di poter “usare maggiore discrezionalità”. Consiglio immediatamente accolto – ci pare – da una Ursula von Der Leyen, che si messaggiò su whatsapp con l’amico Bourla per ordinare centinaia di milioni di dosi di un cosiddetto vaccino che non sarà mai immunizzante (decisione per la quale, oggi, non risponde penalmente, nonostante la sentenza della Corte di Giustizia della Ue, sic!).
Il libro di Vincenzo Lorusso
Abbiamo divagato. Lo sappiamo bene. Ma già dalla prima pagina questo volume ci è sembrato familiare: come la lettera di un amico (o di tanti amici/compagni) che pensavamo di aver perso per strada (magari dopo Genova 2001) e che, al contrario, ci torna alla mano e ogni riga è un pensiero, un’idea, un dubbio che ci erano sorti alla mente e che ora riacquistano spazio, prepotentemente, nei nostri pensieri.
Ovviamente non faremo un’analisi approfondita capitolo per capitolo perché, altrimenti, toglieremmo il gusto al lettore (e all’editore) di acquistarne una copia. Ma vi proporremo alcuni spunti di lettura.
Vincenzo Lorusso ci pone immediatamente in media res: siamo di fronte all’Operazione speciale militare: “«La guerra è tornata in Europa, dopo anni di pace, la Russia ha appena invaso l’Ucraina»”. Questo il messaggio dei media occidentali, lo ricorderanno tutti, nonostante – a dire la verità – in Europa una guerra ci fosse già stata: in quella Yugoslavia martoriata e spezzettata perché il Paese, che era stato di Tito, infastidiva molti, troppi – una spina nel fianco non allineata, quando non comunista, per la nostra democratica Europa. Il secondo fatto che cita Lorusso è la visione univoca (e per noi distorta) intorno al Presidente russo: “La Russia è il mostro, i russi devono ribellarsi a Putin, altrimenti verranno considerati tutti come dei criminali e dei collaborazionisti”. L’equivalenza Putin/Pétain è anti-storica oltre che irrispettosa – come analizzeremo più oltre.
Nelle righe seguenti si fa un po’ di chiarezza sulla cronologia dei fatti che portarono le Repubbliche del Donbass, già nel 2014, a ribellarsi a Kiev: il colpo di stato di piazza Maidan; la precedente rivoluzione ‘arancione’ della Timoshenko nel 2004 (ricordata dall’Editore); la strage nella Casa dei Sindacati di Odessa del 2 maggio 2014, “una delle pagine più infami, più terribili nella storia dell’Europa contemporanea”. Ma aggiungeremmo le difficoltà economiche nelle quali si trovava un’Ucraina sempre più corrotta, che aveva chiesto alla Ue un prestito di 15 miliardi di Euro e gliene era stato offerto uno in cambio, mentre proprio il Presidente Putin aveva staccato quell’assegno, nel 2013 (abbassando persino il prezzo del gas), per evitare che lo Stato ucraino finisse in bancarotta.
Nel 2022, rispondendo a una precisa richiesta dei leader delle Repubbliche Popolari di Lugansk e di Donetsk, Vladimir Putin decide di avviare l’Operazione speciale militare e, ovviamente, “Dopo Napoleone e Hitler, partì il terzo tentativo da parte dell’Occidente di sconfiggere e umiliare la Russia, «colpevole» di essere riuscita a riprendersi – dal punto di vista economico – dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e di essere rimasta indipendente dal giogo delle élite mondiali liberiste”; e questo proprio grazie al suo Presidente (vorremmo aggiungere), che ha saputo circondarsi di politici e tecnici capaci di riportare i bilanci del Paese in positivo, liberarsi dal giogo dell’FMI, rinazionalizzare alcuni settori strategici, e tessere legami anche con quei Paesi che l’Occidente sfruttava o considerava marginali rispetto alla Storia (con la S maiuscola) che, ovviamente, ʻscriveva’ la Ue (ma, dal 1945 in poi, sotto ʻdettatura’ degli States). Vladimir Putin è un faro? Certamente è uno statista (ruolo che latita in Ue, Uk e negli Stati Uniti…).
Ma per riuscire a creare un nemico contro il quale imbracciare le armi o, al momento, spendere centinaia di miliardi in armamenti, è necessario (come ricorda Lorusso): “Disumanizzare il popolo che si considera il nemico. Nei primi giorni di marzo del 2022, l’Unione Europea chiuse le cinque sedi europee di RT (ex Russia Today) e dell’agenzia di stampa russa Sputnik. Dietro la maschera del bloccare l’offensiva informativa della «propaganda russa»”. Ora, questi due punti andrebbero approfonditi da ogni lettore perché mostrano il riproporsi di uno schema già attuato con la Covid-19 e i cosiddetti vaccini: azzerare qualsiasi posizione dissenziente, infangare il cosiddetto ‘nemico’ con termini quali ‘terrapiattista’ o ‘no-vax’ in nome di una verità scientifica che, a distanza di cinque anni, si sta sgretolando come creta al sole. Per quanto concerne la disumanizzazione del cosiddetto nemico, anche in questo caso niente di nuovo: è ciò che Israele fa con il popolo palestinese almeno dal 1948 (anno della Nakba).
Lorusso prosegue con vari fatti che esemplificano il “clima di «caccia alle streghe»”, che ha portato all’esclusione di atleti, cantanti, direttori d’orchestra, pianisti russi dal panorama italiano e internazionale – a meno che non abiurassero alla loro identità e sposassero la visione occidentale di quanto stava accadendo. E tra i tanti esempi, per una ex milanese, risulta particolarmente urticante quello del “sindaco di Milano Beppe Sala” che, dopo aver cancellato “la collaborazione con un artista di fama mondiale come Valery Gergiev”, “appena un anno dopo” promuoveva “una mostra, nel pieno centro di Milano, che esaltava le «gesta eroiche» del battaglione Azov”. Aggiungeremmo anche un ricordo personale: quello dell’elogio struggente di Massimo Gramellini per il generale di Azov, Vyacheslav Abroskin, trasmesso addirittura da Rai3. Ma Lorusso continua facendo paragoni quantomai appropriati tra il regime fascista instaurato in Ucraina e quello fascista, in Italia, e nazista tedesco (tenendo sempre presente che la storia non si ripete mai due volte nella stessa maniera). Ad esempio, cita il rogo dei libri nel Terzo Reich e in Ucraina (ma potremmo ricordare anche il divieto di tenere convegni su Dostoevskij in Università, sic!); la distruzione sistematica di monumenti e della stessa memoria storica; le persecuzioni contro la Chiesa ortodossa russa (pensate a cosa accadrebbe a livello mediatico se si facesse lo stesso contro i cattolici, sic!); e citando un articolo del 22 marzo 2022, in chiusura, ricorda come “Domenico Quirico, giornalista de La Stampa”… “auspicava l’uccisione a Mosca del Presidente Putin per mano di un killer”.
Ma tutto questo avveniva azzerando la questione che, come scrive Lorusso, “si è sempre volutamente ignorata: l’esistenza di un «popolo del Donbass»”.
Nei capitoli successivi l’Autore approfondisce il discorso della censura che, in questi ultimi tre anni, ha colpito oltre alle emittenti e agli online russi, anche lo stesso Lorusso, impegnato a distribuire gratuitamente in Italia un film e poi diversi documentari che raccontano un altro punto di vista: partendo da Il Testimone (1) a Maidan. La strada verso la guerra, fino a Donbas, ieri, oggi e domani (2) e I Bambini del Donbass. E se il primo può dirsi, in parte, fiction (tra l’altro, film in sé che, come recensimmo, merita tanto quanto Il pianista ed è interpretato da Karen Badalov, credibile e perso quanto l’Adrien Brody da Oscar); il valore dei documentari è quello di ricordarci che le minoranze linguistiche, etniche, religiose esistono e vanno rispettate. Come in Italia si è concesso uno statuto speciale ad alcune regioni, tra le quali l’Alto Adige e la Val d’Aosta, non si comprende perché i Protocolli di Minsk siano stati non soltanto disattesi, ma l’intera popolazione russofona presente in Donbass sia stata cancellata dalla narrazione. E forse, proprio per questo motivo, la battaglia di Lorusso e Andrea Lucidi per raccontare la visione di chi abita – ed è vissuto dal 2014 al 2022 in uno stato pressoché d’assedio – a Donetsk o Lugansk è stata ed è tanto ardua. Non è un caso che la censura abbia coinvolto e continui a interessare amministrazioni cittadine, ma anche deputate del Parlamento italiano ed europeo. Ma, ci chiediamo noi, come redazione, è davvero questa la libertà di parola e stampa, opinione e manifestazione, per la quale si sono battuti i partigiani durante la Seconda guerra mondiale? A cosa serve ormai ricordare il 25 Aprile quando si dimenticano, ogni giorno, i valori della nostra Costituzione (ivi compreso l’articolo 11, che ripudia la guerra)?
La macchina del fango
Partendo da queste considerazioni, arriviamo al Capitolo IV, dedicato alla petizione che Lorusso ha promosso dopo che, il 5 febbraio 2025, il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, dichiarava pubblicamente: “Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali. Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto, anziché di cooperazione, pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura”. Lorusso riporta l’intera affermazione che, oltre a essere un paragone anti-storico, è fuorviante, in quanto a rifiutare la mediazione, oggi, è proprio l’Europa – che vuole riarmarsi fino ai denti. Mentre, attratti dalla favola del regime dispotico, allora, furono l’Italia fascista e, poi, la Germania nazista (non dimentichiamo che Hitler provava una grande ammirazione per Mussolini, il quale aveva preso il potere oltre un decennio prima di lui). E ribadiamo il fatto che la Russia è il Paese più esteso al mondo, con una popolazione due volte quella italiana: non le manca di certo lo ‘spazio vitale’!
Lorusso ricorda la risposta di Marija Zacharova e spiega perché abbia voluto promuovere una raccolta firme intorno a una precisa petizione: “Il popolo italiano non si riconosce nelle dichiarazioni del Presidente della Repubblica italiana Mattarella e desidera scusarsi con la Federazione Russa e con tutto il popolo russo: https://www.petizioni.com/il_popolo_italiano_prende_le_distanze_dalle_parole_del_presidente_mattarella”.
Da quel momento contro Lorusso scatta uno tra gli espedienti nei quali l’Italia è maestra: se non basta il muro di gomma (termine coniato dall’avvocato Giordani intorno ai depistaggi e all’omertà in merito alla strage di Ustica, e ripreso poi in un solido film di Marco Risi basato sul lavoro del collega Andrea Purgatori), si inizia a infangare. Un tempo si sarebbe speculato sulle amicizie di Lorusso, oppure (come con Moni Ovadia) lo si accuserebbe di essere un italiano (invece che un ebreo) che non ama il proprio popolo. Ma oggi esistono i fact checker (figure ibride che dovrebbero vagliare notizie, ma anche semplici discorsi da social, spesso retribuite da finanziatori stranieri, a volte iscritte all’albo dei giornalisti, venute in auge nel 2020 con l’insorgere della pandemia). Ed ecco che, in rete, compaiono “tre screenshot di firme volutamente false, realizzate dagli stessi firmatari poiché, come affermato in precedenza, a nessuno, tranne me, era consentito di controllare i nomi dei firmatari, ma tutti potevano controllare ed eventualmente cancellare o modificare solo la propria firma” – spiega Lorusso. E così, mentre la petizione raccoglie oltre 30mila firme e le prime 10mila, stampate, sono consegnate nelle mani di Zacharova (nel frattempo, insultata come poche volte è capitato a portavoce ufficiali e politici), e Lorusso racconta questo incontro con emozione e commozione, la macchina del fango continua a muoversi imperterrita. Come insegnava Hitler a Goebbels, suo ministro della propaganda: “Più grande la menzogna, maggiori sono le probabilità che venga creduta”. Quindi, non conta per i fact checker chiarire se le firme siano autentiche o autogenerate da forme di IA, ovvero: “Sarebbe stato sufficiente analizzare quei tre screenshot per rendersi conto che non potevano essere stati realizzati da bot e che non facevano parte di nessuna lista di firmatari in chiaro, ma che erano proprio le firme degli stessi autori e che quindi nessuno aveva mai avuto accesso alla lista dei firmatari, tranne me” (come spiega Lorusso nel libro). L’importante è oscurare quanto accaduto: la Russia deve continuare a essere nostro nemico perché, altrimenti, come giustificare – pensiamo noi – gli 800 miliardi che spenderemo, come Paesi dell’Unione Europea, per il riarmo? Come spiegare ai cittadini italiani, ad esempio, che dopo aver spergiurato che il nostro Paese avrebbe investito in scuola e sanità (ricordate le ‘classi pollaio’ e la mancanza di ‘posti letto’ in periodo pandemico?), si farà esattamente il contrario? È il Gimbe a titolare, proprio riguardo alla spesa sanitaria italiana: “Rispetto a misure previste mancano 19 mld da qui al 2030. Nel 2027 si scende al 5,9% del Pil, minimo storico”.
L’unica risposta a chi voglia azzerare il dissenso – come fa Lorusso – è quella di trascrivere fedelmente centinaia di commenti degli stessi firmatari, che si sono sentiti colpiti in prima persona e nella propria dignità da una tale macchina da guerra mediatica, che voleva cancellare la loro posizione e voce, come è riuscita a cancellare l’esistenza dei milioni di russofoni del Donbass.

Le immagini e la Postfazione di Andrea Lucidi
Dopo tante parole, l’appendice iconografica dimostra come una fotografia spieghi meglio di cento parole. Un vero pugno nello stomaco lo scatto con didascalia: “Effetti del bombardamento di una colonna di auto con civili da parte delle FF.AA. ucraine nell’insediamento di Novosvetlovka, LNR 2014” (qui sopra). Perché colpisce così ferocemente, dopo la sequela di orrori che si ripetono ogni giorno, ritrasmessi dai social e dalle tivù? Semplicemente per quella data: 2014. Ovvero ben prima del 2022 e dell’inizio dell’Operazione Speciale Militare: il popolo del Donbass – come ha sempre rivendicato – è stato coinvolto in una guerra civile da una sequela di eventi che hanno portato uno Stato, l’Ucraina, a trattare parte dei suoi abitanti, ossia i russofoni, senza alcun “rispetto per l’identità culturale, linguistica e politica della popolazione” (così come riconosciuto dal diritto, ormai a livello internazionale).
Passiamo infine nuovamente alle parole, quelle del collega Andrea Lucidi – che, da storico, si concentra soprattutto su alcuni fatti, quelli occorsi tra il 1917 e i giorni nostri in Ucraina e in Russia. Con grande precisione e onestà intellettuale – qualità rare sia negli storici sia nei giornalisti – Lucidi racconta l’ultimo secolo di storia senza prendere posizione ma restituendo fatti e cifre con indubbia precisione. Chapeau.
Il libro di Lorusso, che abbiamo seguito da lontano in questi anni di guerra – unendoci l’amore per la Russia, il suo popolo e la sua cultura, la sua storia e la sua letteratura – è imprescindibile se si vuole comprendere anche il punto di visto dell’altro da sé. In un’epoca in cui è impossibile non prendere posizione, è doveroso scegliere: con il diritto dei popoli di autodeterminarsi (al di là dell’ormai vetero paradigma del colonialismo) o con il potere costituito, spesso in territori tagliati in linea retta dagli ex colonizzatori o da organismi internazionali che pare rappresentino più gli interessi dell’Occidente collettivo che non dei popoli che vi abitano. Dal Sahara al Donbass passando per lo Yemen, il Tibet o la Palestina, dobbiamo ridare voce ai senza voce.
«De russophobia»
di Vincenzo Lorusso
introduzione di Marija Zacharova
prefazione di Alberto Fazolo
postfazione di Andrea Lucidi
4 Punte Edizioni
Le Rocce, 2025
Euro 14,00
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(2)
venerdì, 23 maggio 2025
In copertina: La copertina del libro (particolare per ragioni di layout)